Un film non è mai “solamente” un film. E mai come One Second, l’ultima fatica di Zhang Yimou (la penultima a dire il vero, visto che il successivo Cliff Walkers ha già iniziato da mesi la propria circuitazione), rispecchia in pieno questa convinzione.

Annunciato al Festival di Berlino 2019, poi “misteriosamente” cancellato, One Second ha avuto non pochi problemi con la censura cinese, che ne ha anche impedito la partecipazione ai Golden Rooster nazionali.

Non sappiamo, non lo sapremo mai forse (a meno che un domani non arriverà un director’s cut del film), se il “prodotto finito” arrivato ora alla Festa di Roma, previa passaggio San Sebastian e Toronto (prossimamente nelle sale grazie a Fenix Entertainment e Europictures) è quello che il regista di Lanterne rosse e Hero avesse in mente dall’inizio.

Quel che è certa è la volontà di ritornare a confrontarsi con un cinema lontano dalle geografie spettacolari dei vari wuxiapan – blockbuster che ne hanno decretato le fortune a livello internazionale, tornando a misurarsi con tematiche e caratteri più vicini ai suoi esordi.

E il secondo che dà il titolo al film racchiude in sé tutta la potenza che un singolo fotogramma può custodire per gli occhi di chi guarda.

One Second
One Second
One Second
One Second

Non è peregrino allora parlare di questo come del Nuovo Cinema Paradiso di Zhang Yimou, che ci riporta agli anni della Rivoluzione Culturale, nel nord della Cina, nella regione dei deserti del Gansu: proprio attraverso dune stravolte dal vento incomincia la fuga di Zhang (Zhang Yi), uomo che capiremo poco più avanti è prigioniero in un campo di lavoro forzato da sei anni.

Ha scoperto che l’unica possibilità di rivedere sua figlia è assistere alla proiezione di un cinegiornale di matrice governativa, “catturata” da quella pellicola per un breve istante. Peccato però che sulla sua strada si metterà la giovane Liu (Liu Haocun), orfana disposta a tutto pur di impossessarsi di una pizza di pellicola da portare al fratellino, reo di aver rotto involontariamente un paralume decorato proprio con dei frammenti di pellicola.

Con una partenza che ricorda le commedie tristi di matrice chapliniana, caratterizzata dai continui ruba e ri-ruba di questa fantomatica bobina, One Second svela poco a poco le proprie carte, trovando la sua dimensione definitiva proprio all’interno di quella sala adattata a cinema dove “Mr. Movie”, il proiezionista del villaggio, è considerato dai locali alla stregua di un mago capace di regalare loro indimenticabili momenti di evasione.

La partecipazione collettiva non è solo quella della visione però, ma anche quella che la precede, indispensabile affinché la proiezione possa esistere: tutti allora si danno da fare quando bisognerà ripulire e disintrecciare metri di pellicola arrivati malconci a destinazione.

One Second
One Second
One Second
One Second

E poco importa se il film da vedere è praticamente (quasi) sempre lo stesso (Heroic Sons and Daughters, pistolotto epico propagandistico), quello che conta è poter rivivere ancora una volta la magia della luce nel buio di una sala scalcagnata.

Mentre per il fuggitivo è quel solo, unico secondo, a contare più di qualsiasi cosa. A dispetto del rischio di essere nuovamente catturato.

Non sapremo mai, come detto, se e quanto Zhang Yimou volesse andare più in profondità relativamente al contesto riportato in superficie, se siano state tagliate situazioni o dialoghi. Quello che resta è un piccolo ritaglio di pellicola, quel secondo, catturato per sempre dalla sabbia. Ma rimasto impresso negli occhi di chi ha combattuto per poterlo vedere.