In fondo, a ben pensarci, almeno fino a un certo punto Onde radicali (presentato alla Festa del Cinema di Roma e in onda il 2 novembre alle 21.15 su Sky Documentaries, disponibile On Demand e in streaming su NOW) racconta una storia italiana parallela a quella ufficiale.

Lo spiega bene un’annunciatrice Rai quando, dopo aver trasmesso una Tribuna Politica del partito, ci tiene a sottolineare di essere “estranea a tale trasmissione”. A parlare, in quel passaggio televisivo, era la figlia del giudice Giovanni D’Urso, tenuto sotto sequestro dalle Brigate Rosse, che lesse ampi stralci dai due comunicati dei terroristi e fu così costretta a definire il padre “boia”.

È un caso emblematico che fa capire come in un’Italia minata dal piombo, tormentata dal dolore e comunque ossessionata da piccole ipocrisie e diffusi perbenismi, i Radicali abbiano interrogato i dubbi di un Paese in crisi, indicato un’alternativa alle risposte della maggioranza, offerto una prospettiva divergente rispetto al monopolio per liberare l’Italia da tabù e pregiudizi.

Come sottolinea Emma Bonino, il pensiero radicale era inclusivo nella misura la persona che non era d’accordo su una battaglia poteva condividerne un'altra. Un coacervo di anime diverse e divergenti che costituiscono il parterre di testimoni chiamati per rievocare la storia di Radio Radicale.

Giocando sul significato di “onde”, Gianfranco Pannone ricostruisce la storia di una comunità obliqua attraverso l’avventura della sua Radio, nata nel 1976, anno in cui entrarono in parlamento i primi deputati radicali. È l’epoca delle radio libere (la sede era in via Villa Pamphili a Monteverde: grande eccitazione quando gli ascolti valicarono i confini di Roma), una stagione di grandi fermenti libertari che i radicali seppero interpretare con intelligenza politica e sensibilità giornalistica.

Archivio Radio Radicale

Onde radicali si avvale dell’archivio dell’emittente, prezioso perché fungeva da “supplente” delle testate ufficiali: dirette integrali di congressi democristiani con futuri leader trattati con sufficienza, sedute di commissioni parlamentari apparentemente poco attraenti, reportage alle piazze calde della contestazione.

Radio Radicale c’era dove gli altri non potevano – o volevano – esserci, presidio democratico e popolare, tribuna politica e strumento di lotta (soprattutto accanto a Enzo Tortora), sfogatoio notturno del pubblico (Radio Parolaccia) e finestra sul mondo (la guerra in Cecenia raccontata dal corrispondente Antonio Russo, ucciso in circostanze misteriose).

Avvalendosi di tante testimonianze (citiamo, tra voci storiche e militanti, almeno Paolo Vigevano, Pino Pietrolucci, Francesco Rutelli, Rita Bernardini, Marco Taradash, Gianfranco Spadaccia, Roberto Giachetti) intrecciate a frammenti con i ragazzi della rivista Scomodo, impegnati a compiere una ricerca sull’emittente, a quarantacinque anni dalla nascita della Radio, è un documentario interessante perché indaga un pezzo della nostra storia contemporanea. Una storia che continua, nel ricordo di chi quella comunità l’ha forgiata, su tutti Marco Pannella e Massimo Bordin.