Oh Dae-soo (Cho Min-sik), sposato e padre di famiglia, viene rapito un giorno del 1988 e tenuto recluso per quindici anni in una prigione privata senza che possa farsi un'idea sull'identità del suo sequestratore. Dalla tv, unico legame con il mondo esterno, gli arriva la notizia dell'efferato assassinio della moglie: a mantenerlo in vita è solo il desiderio di vendetta. Lasciato libero, trova nella giovane cuoca Mi-Do (Gang Hye-jung) un'alleata nella ricerca del suo sequestratore e del motivo della sua reclusione. Ma anche la ragazza è parte inconsapevole del disegno del suo antagonista. Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2004, Old Boy  è il secondo capitolo, dopo Simpathy for Mr Vengeance, della trilogia sulla vendetta del regista coreano Park Chan-wook. Tratto dall'omonimo manga giapponese creato nel 1997 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki, il film trasuda vendetta da ogni fotogramma. La prigione diviene l'incubatrice del rancore sordo e anonimo di Dae-soo, disperato e auto-referenziale come i pugni che tira contro le pareti della camera claustrofobica. Il regista - di cui Tarantino ha tessuto pubblici elogi - carica le immagini di violenza virale, incollando le sequenze sul percorso di rivalsa del protagonista. Tra pulsioni (auto-)distruttrici e ferite della memoria, il film precipita in un countdown violento e disperato risucchiando legami di sangue e moti d'affetto nel vortice della vendetta. "Sebbene sia peggio di una bestia, non ho anche io il diritto di vivere?" si chiede Dae-soo, ma la risposta è ferale. Editing serrato, macchina da presa rabbiosa per mettere sottovuoto un thriller esistenziale e iperrealista, impassibile e determinato come il volto del suo straordinario protagonista. Park Chan-wook non lesina nulla, tranne la simpatia per i personaggi: l'ennesima vendetta?