Estenuato dalle continue aggressioni verbali e fisiche al figlio, opera di un gruppo di bulli che vessano quotidianamente lui e altri coetanei, un professore di scienze mette a punto un siero che nelle sue intenzioni dovrebbe aumentare l’aggressività, ma che all’atto pratico si rivela contenere un virus pernicioso, in grado di provocare la morte per arresto cardiaco e prendere possesso delle cellule cerebrali, creando un vero e proprio zombi iperdinamico e feroce.

Un morso di queste creature è in grado di “zombificare” in pochi minuti, particolare non trascurabile se associato al fatto che il professore utilizzava per i suoi esperimenti cavie di laboratorio del liceo in cui lavorava. In meno di una mattinata, la quasi totalità degli studenti di Hyosan diventano mostri cannibali, eccezion fatta per un manipolo di compagni che tentano disperatamente di sopravvivere tra corridoi, aule e barricate improvvisate, contando unicamente su sé stessi in attesa di quei soccorsi che, stranamente, tardano ad arrivare…

Bollare con superficialità Non siamo più vivi sarebbe un errore. In Corea del Sud hanno capito da tempo come far breccia nel mercato mondiale dell’audiovisivo, omologandosi al linguaggio internazionale con prodotti di genere che nulla hanno da invidiare a quelli americani ed europei. Una “occidentalizzazione” mai avvenuta, ad esempio, nel cinema action hongkonghese di fine millennio, rimasto fedele a sé stesso anche nel suo periodo di maggior successo, con quel registro melodrammatico sopra le righe mai realmente digerito dal grande pubblico nostrano.

All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021
All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021
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Il successo ai limiti del virale dei prodotti coreani, da Parasite in poi, favorito dalla globalizzazione degli ultimi anni e da una “vicinanza” virtuale figlia di Internet e social, è legittimato da un’indiscutibile validità tecnica e trova con tutta probabilità la sua koinè nell’insistita ricerca dell’analisi sociale. Lo sfondo è sempre la Corea con le sue contraddizioni, e al solito non è difficile trovare analogie con il nostro quotidiano. Come in Squid Game un mondo spietato genera miseria e produce persone ben liete di sfidare la morte per soldi, così Non siamo più vivi (tratto dal webtoon del 2009 Now at Our School, di Joo Dong-geun) è un teen horror in cui tutto ha origine da una piaga adolescenziale come il bullismo, per poi propagarsi attraverso altrettante ferite di una società malata di classismo, intolleranza e indifferenza, oltretutto alle prese con un baratro generazionale non da poco.

Gli adolescenti di questa serie sono vittime sacrificali di un mondo moderno nella facciata ma gerontocratico nell’anima, un mondo che abbandona letteralmente al proprio destino i suoi figli. Un’intuizione geniale, che fa degli adolescenti il target prediletto di un prodotto certo non nuovo per forma e contenuti: zombi veloci siamo abituati a vederli dai tempi del pessimo remake di Dawn of the Dead di Zack Snyder, per non parlare del dittico Train to Busan/Peninsula che ha sbancato i botteghini coreani con un’iconografia zombi pressoché identica.

Il vero difetto della serie è l’eccessiva lunghezza degli episodi: un’ora ciascuno è veramente troppo, a risentirne spesso è il ritmo e l’originalità di alcune situazioni che tendono inevitabilmente a ripetersi. Viene quasi il dubbio che sia una cosa voluta, quasi a immaginare la “distrazione” del giovane pubblico di riferimento e poter dare loro la possibilità di allontanarsi quando vogliono dai loro smartphone; non ci sarebbe molto da stupirsi.

A parte questo, dopo un inizio folgorante (il brutale pestaggio del figlio del professore) e un setup tentennante e poco incisivo (anche a causa di un’eccessiva schematizzazione dei personaggi), Non siamo più vivi non si ferma davanti a nulla. Mostra adolescenti abbandonate che partoriscono nei bagni, e hanno appena il tempo di mettere al sicuro il proprio figlio legandosi a una maniglia, prima di trasformarsi; crea indimenticabili scene cariche di tensione (notevole l’inseguimento a suon di salti tra gli scaffali di una biblioteca invasa da zombi); concede a più riprese momenti di autentico gore a suon di frattaglie e derivati, sa affondare con convinzione il pedale della crudeltà, e riesce a riscrivere l’immaginario zombi di cui perfino i protagonisti sono a conoscenza, inventando una nuova categoria di non morti “asintomatici”, che mantengono le proprie caratteristiche umane ma acquisiscono super forza, sensi affinati e immortalità.

All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021
All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021
All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021
All of us are Dead Cr. Yang Hae-sung/Netflix © 2021

Trovata esemplare in epoca Covid, che se ben sfruttata potrebbe costituire un ottimo spunto per rilanciare una ipotetica seconda stagione: un asintomatico non è uno zombi, ma neanche più un umano, e lotta costantemente con la fame di sangue che lo rende più simile a un vampiro. In pratica, dei potenziali apolidi del mondo, freaks del nuovo millennio senza identità né appartenenza.

Lontano dal liceo di Hyosan, gli adulti non fanno – come detto – una gran figura: mentre il governo instaura la legge marziale e toglie la corrente alla città (impedendo di fatto ai sopravvissuti di comunicare), i tentativi di mettere in salvo i ragazzi sono solo iniziative isolate da parte dei loro genitori, destinate per lo più a fallire, come parzialmente fallimentare si rivela la “decisione finale” del generale delle forze armate, la cui fine è uno dei momenti più belli e inaspettati della serie. Anche qui, come in Squid Game, l’action termina prima dell’ultima puntata, e il season finale è tutto dedicato ai personaggi, a che ne sarà di loro e a come il mondo si sta riorganizzando. La società, ancora una volta al centro del racconto, svetta oltre la semplice vicenda individuale.

Malgrado la discontinuità (il tentativo di sdrammatizzare con parentesi comedy è decisamente fuori luogo), il macchiettismo di alcuni personaggi (come il bullo antagonista da cui, francamente, ci si aspettava più che un frustrato assetato di vendetta), e rare ma palesi castronerie (come far sopravvivere un neonato dandogli del latte vaccino), Non siamo più vivi riesce a raccontare in chiave fantastica problematiche reali. Sa di cosa parla, lo fa bene in virtù di un’azzeccata idea di partenza, e convince nel messaggio finale di rinascita e di crescita interiore, ciclicamente necessari per ricostruire con le proprie mani, al termine di ogni catastrofe, un mondo migliore di quello che ci è stato lasciato.