“You know what you are... You’re gonna be a star” cantava Michael Stipe in All the Way to Reno di R.E.M. Anche Yvonne Nguyen (la sorprendente Clotilde Chevalier) sa di essere – potenzialmente – una star di musical: canta, recita, balla e non c’è posto dove sia a suo agio come sul palcoscenico. Persino quando sogna, lo fa in chiave musical. Il problema è che, nonostante il talento, nessun teatro importante è disposto a scommettere su di lei. Come le ripetono ai casting, “non c’è nulla che corrisponda al tuo profilo”. Tradotto: non sei abbastanza giovane, filiforme, cool e caucasica.

Sebbene Yvonne si senta più francese della baguette e non sia mai stata in Vietnam (paese da cui proviene la sua famiglia), tutto sembra congiurare per dirle che deve accontentarsi di fare la comparsa in qualche serie tv, impersonare Mulan a Disneyland, partecipare a piccoli spettacoli per bambini o esibirsi al supermarket per reclamizzare gli involtini. Dopo aver lasciato il fidanzato, è costretta a tornare a casa dalla madre (Anh Tran-Nghia, perfetta nella sua burbera severità), che gestisce un ristorante e non ha mai nascosto di disapprovare le scelte della figlia, sentenziando “una donna vietnamita in un musical è come un elefante che fa gli involtini: è super, ma non esiste”.

Nguyen Kitchen
Nguyen Kitchen

Nguyen Kitchen

(Respiro productions)

Eppure, dopo tanti provini andati a vuoto in progetti altisonanti dai titoli improbabili (Marie Antoinette Disco Queen, Bernardette di Lourdes Opera Rock, Giovanna d’Arco Superstar, Romeo e Giulietta nello spazio), si profila all’orizzonte un musical su Casanova e le sue esotiche conquiste. Mentre si prepara per la grande occasione, Yvonne tenta di ricostruire il dialogo con la madre, alla quale risulta più facile preparare una laboriosissima pietanza tradizionale, piuttosto che aprirsi emotivamente con la figlia. Quindi l’unico posto dove le due donne possono provare a comunicare davvero è la cucina. Come un piatto che “sa di casa”, tanto semplice all’apparenza quanto facile da rovinare con il pressapochismo e un dosaggio errato, Nguyen Kitchen ci spinge ancora una volta a pensare: perché ai francesi questo tipo di commedie riesce così bene a noi no?

In ogni caso, l’opera prima di Stéphane Ly-Cuong affronta con leggerezza e ironia questioni che, in altre mani, renderebbero il film pesante come un macigno o genererebbero ridondanti proclami ideologici, dal complesso rapporto identitario che i figli degli immigrati hanno con le proprie radici, all’ipocrisia di un sistema che si considera progressista, ma reputa le culture asiatiche intercambiabili, ragiona per stereotipi e spreca cifre enormi in progetti mediocri, imbevuti però di paroloni e fuffa pseudo-artistica.

Nguyen Kitchen
Nguyen Kitchen

Nguyen Kitchen

(Respiro productions)

Nessuna improbabile svolta hollywoodiana e nessuna predica retorica sulle ingiustizie sociali, solo tanto cuore, un approccio empatico nel raccontare la normalità di chi non vuole rinunciare ai propri sogni, un’intelligente gestione della parte musical (calzante la colonna sonora “fusion” di Clovis Schneider e Thuy-Nhân Dao), un uso consapevole dei meccanismi narrativi (nessuna love story appiccicata a forza, per fortuna) e una protagonista dalla simpatia contagiosa, che meriterebbe davvero di diventare una star. Per restare nella metafora culinaria, dal comfort food al comfort film il passo è breve: se possibile, andatelo a vedere con le vostre mamme.