I sogni diventano realtà quando si parla della Disney. Mondi inavvicinabili si scoprono a portata di sguardo, i colori si accendono e, dai supereroi ai cartoni animati, tutte le generazioni possono ritrovare il sorriso. Chiamatela magia del cinema e dell’immaginario. Anche il gigante di Burbank sta seguendo la rivoluzione “nera” di Hollywood, che quest’anno ha visto Scappa – Get Out come portabandiera. E per il futuro Black Panther, il sovrano mascherato del Wakanda, si è già conquistato un posto nel cuore dei fan Marvel.

Nelle pieghe del tempo torna a parlare di integrazione, di scontri dovuti al colore della pelle o alla diversità, soprattutto culturale, con particolare attenzione al ruolo della donna. Meg Murry ha quattordici anni e non si omologa agli altri teenager. Viene bullizzata, perché la considerano stramba, poco cool rispetto alle altre ragazzine. Non si veste alla moda, suo padre è sparito parecchi anni prima, e lei è introversa, fa fatica ad aprirsi con gli altri. In più suo fratello è un bambino prodigio, un piccolo genio che potrebbe diventare una delle più grandi menti del nostro tempo.

 

La forza di Meg sono i numeri, la fisica, che ha ereditato dal papà, un importante studioso che pensava di poter viaggiare nello spazio con la forza della mente. Fantascienza? Forse no. Tre donne abbastanza stravaganti bussano alla porta dei Murry: sono la Signora Chi (che si esprime citando le personalità del passato, da Churchill a Shakespeare), la Signora Cosè (una stramba evoluzione di Madre Natura) e la Signora Quale (uno degli spiriti più antichi dell’universo). Insieme andranno alla ricerca del signor Murry, per ricostruire ancora una volta una famiglia distrutta, in pieno stile Disney.

Struttura patinata, pochi colpi di scena e tanti effetti speciali, il film semplifica le tematiche del romanzo di Madeleine l’Engle, il primo capitolo della sua celebre saga sci-fi, e non regala niente di nuovo. Si inserisce nel filone dei blockbuster hollywoodiani che ammiccano troppo spesso alla platea, e cerca di non scontentare nessuno con la sua anima politically correct. Ava Du Vernay è la donna giusta per tenere alto lo stendardo dei diritti, ancora fresca del suo Selma – La strada per la libertà, con Martin Luther King sugli scudi. E la presenza di Oprah Winfrey, nei panni della Signora Quale, non è un caso.

Lei è una delle più grandi personalità afroamericane di Hollywood, famosa per il suo programma The Oprah Winfrey Show. Il discorso dal palco dei Globes l’ha lanciata verso la Casa Bianca, e anche qui sembra che stia facendo campagna elettorale. Invita il pubblico a trovare la propria “frequenza”, la voce interiore capace di sostenerci nei momenti di difficoltà.

Bisogna autodeterminarsi, credere in un futuro radioso, sembra suggerire senza troppi giochi di parole, con un occhio anche alla religione. Ma forse sarebbe servito un po’ più di riguardo verso il racconto, invece di esaltare la retorica. E mentre pianeti, a cavallo tra Avatar e Alice nel paese delle meraviglie, prendono vita, viene da chiedersi se, in fondo, l’intera avventura non sia altro che un costoso déjà vu.