Un documentario singolare, nel soggetto affrontato ancor più che nello stile, per raccontare la realtà dei napoletani convertiti all’Islam. All’epoca di Charlie Hebdo, il regista Ernesto Pagano - giornalista, traduttore dall’arabo, documentarista - azzarda la carta dello smantellamento di uno stereotipo, quello legato alla città più “tipica” d’Italia, andando a fondo nella ricerca di una religiosità cittadina che vada al di là del consueto binomio sacro-profano tra San Gennaro e Maradona.

Con sguardo da antropologo, filtro ineliminabile e tuttavia discreto, Pagano squaderna dinanzi ai nostri occhi incuriositi dieci figure di napoletani “veraci” che hanno abbracciato la fede islamica: giovani donne e uomini, disoccupati, padri di famiglia, ognuno alle prese con la propria (nuova) vita, la perplessità delle famiglie, il bisogno di approfondire, il dialogo.

E la tecnica narrativa risuona di echi neorealisti, in quella volontà di accostarsi alle persone, alle cose, agli ambienti domestici e umili, lasciando che siano essi stessi a parlare, a tratteggiare con l’esaustività del dato autobiografico i contorni della propria esistenza. E davvero, se non fosse per il formato hd e per il colore, potremmo avere l’illusione di trovarci dinanzi a una pellicola firmata da un sodale del metodo Zavattini, coi suoi ritmi popolareschi, le pause irrisolte della vita quotidiana, gli indugi e l’incedere a singhiozzo del percorso.

Il ritratto di Napoli cambia poco, paradossalmente. L’Islam è una via di fuga dall’incertezza esistenziale endemica nella città partenopea, da una vita sentita come privazione e come continua lotta alla povertà, da un orizzonte che sembra agitarsi in una danza scomposta e priva di senso, minacciata dalla violenza e dallo squallore della metropoli.

Recentemente premiato a Bologna con il Biografilm Italia Award 2015.