“Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar”.

In soli 3 giorni Manzoni compose Il Cinque Maggio, ode a Napoleone morto esule sull’Isola di Sant’Elena. In quasi centotrenta anni di storia, invece, il cinema ha provato in più di un’occasione a catturarne lo spettro, non sempre riuscendo, altre volte accantonando l’idea (celebri i progetti dei vari Kubrick, Chaplin, mai portati a termine): Abel Gance è stato l’unico cineasta francese che – ormai quasi cento anni fa, nel 1927 – riuscì a restituire la mitologia di un simile personaggio associandola ad un film seminale, opera colossale di 333 minuti, poi ridotti a 235, che raccontava solo la prima parte della sua vita, fino alla campagna d’Italia del 1796, seguito poi – nel 1960 – dal deludente La battaglia di Austerlitz, con Pierre Mondy nei panni di Bonaparte, Claudia Cardinale in quelli di Paolina Bonaparte, Orson Welles in quelli di Robert Fulton e Vittorio De Sica come papa Pio VII.

L’altro francese (seppur russo di nascita) a cimentarsi in maniera “canonica” nella sfida fu Sacha Guitry, che nel 1955 si cucì addosso anche la parte di Talleyrand in Napoleone Bonaparte, poi nel 2002 arrivò la miniserie televisiva di Yves Simoneau con Christian Claver protagonista e, l’anno dopo, l’ucronico Monsieur N di Antoine de Caunes.

Sul fronte anglosassone, Ian Holm è l’unico attore ad aver interpretato due volte Napoleone, nel 1974 per la miniserie Napoleone e le donne, anni più tardi, nel 2001, nel film I vestiti nuovi dell’imperatore, altra operazione “fantasia” diretta da Alan Taylor.

Ma bisogna ovviamente arrivare negli Stati Uniti per intercettare, sempre rimanendo in tema attori, le partecipazioni “di peso” in film sull’imperatore francese: Marlon Brando lo interpretò nel 1954 in Désirée di Henry Koster, Rod Steiger nel 1970 in Waterloo, diretto dal russo Sergej Fëdorovič Bondarčuk (film che come da titolo si rivelò un flop commerciale tremendo) e, arriviamo a noi, Joaquin Phoenix lo incarna in questo Napoleon di Ridley Scott.

Lo troviamo tra la folla che attende la decapitazione di Marie Antoinette (i puristi hanno puntato il dito contro questo primo “falso storico” del film), ne seguiremo poi l’incredibile ascesa nella Francia post-rivoluzionaria, dalla battaglia di Tolone alla campagna d’Egitto (la cannonata ad una delle Piramidi di Giza, altra scena digerita poco dagli esegeti…), passando per la presa del potere con il colpo di stato nel 1799, la proclamazione a Imperatore dei francesi nel 1804, la battaglia di Austerlitz del 1805, arrivando poi alla disastrosa campagna di Russia, all’esilio dell’Elba, al ritorno in patria e al tentativo fallito di Waterloo, fino all’ultimo respiro sull’Isola di Sant’Elena, nel 1821, dopo sei anni di esilio.

Si salta dunque da un periodo all’altro, eludendo molto certo (d’altronde la lunghezza pur notevole del film, quasi 160’, non potrebbe mai contenere tutto, chissà l’annunciata Director’s Cut di 4 ore…) e procedendo seguendo le linee guida del “classico” film storico, incentrato però sull’ambiguità di un personaggio talmente lucido e risoluto nell’arte della guerra, tremendamente goffo e fragile altrove.

Fatta salva la solita, indiscutibile grandeur con cui il regista 85enne restituisce l’epica nelle scene di battaglia, Napoleon è un biopic plumbeo che stupisce per la scelta di non voler mai eccedere, evitando così tanto il rischio di situazioni grottesche o sopra le righe (i momenti ridicoli dell’Imperatore sono sì accennati, mai caricati troppo), ma anche il pathos che un film come Il gladiatore – sicuramente più imperfetto e più fantasioso di questo – riusciva a regalare.

Vanessa Kirby e Joaquin Phoenix in Napoleon
Vanessa Kirby e Joaquin Phoenix in Napoleon

Vanessa Kirby e Joaquin Phoenix in Napoleon

La volontà è piuttosto quella di “ingabbiare” il personaggio di Napoleone in un limbo perenne dove l’egotismo e la megalomania, unitamente al genio strategico in battaglia, combattono con il sentimento d’amore che lo lega alla donna della sua vita, Giuseppina (Vanessa Kirby), moglie fedifraga, poi imperatrice, poi lasciata perché incapace di donargli l’atteso erede maschio, figura che però accompagnerà la storia di quest’uomo anche all’indomani della di lei morte.

“Francia. Esercito. Giuseppina…”, le ultime tre parole che avrebbe proferito in punto di morte Napoleone, uomo che al comando della fanteria e della cavalleria francese, nel corso di una ventina d’anni, ha ucciso più di 3 milioni di persone. Ma che ha dovuto rinunciare all’amore per lasciare se stesso alla patria.