Ha tutta l’aria di essere una ripartenza, Mortal Kombat Legends: Scorpion’s Revenge (disponibile per l’acquisto in digitale su Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMvision, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e dal 30 aprile per il noleggio su Sky Primafila, Vvvid e Infinity).

Per il franchise – all’origine c’è il videogioco creato da Ed Boon & John Tobias – ma anche per il cinema basato sull’esperienza videoludica. Perché, sì, molti autori seguono le tracce di quell’universo per rinnovare sguardi sui generi classici (ultimo caso evidente il Sam Mendes di 1917), ma è vastissimo il catalogo a cui attingere per adattare il repertorio di avventure alle possibilità della narrazione cinematografica.

 

E, quindi, dopo i più recenti Assassin’s Creed e Detective Pikachu e in attesa di Call of Duty, ecco questo film di Ethan Spaulding, produzione con cui Warner Bros. si riposiziona nel mondo dell’animazione “tradizionale” e si pone come strategico punto di riferimento per altre trasposizioni simili.

Mortal Kombat Legends: Scorpion’s Revenge si concentra sulla storia di Hanzo Hasashi, già capo del clan ninja degli Shirai Ryu. Dopo il massacro della sua famiglia per mano del mercenario Sub-Zero, viene esiliato nel Netherrealm, dove, per poter vendicare la famiglia, accetta di servire Quan Chi, pericoloso reggente del Regno.

Così, Hanzo torna in vita come Scorpion, totalmente dedito alla vendetta (lo annuncia già il titolo: la vendetta di Scorpion) e impegnato nel torneo di arti marziali Mortal Kombat a garantire il ritorno in vita del clan e della famiglia.

C’è un problema di fondo in un film del genere: per quanto voglia offrirsi agli spettatori a digiuno nei termini di una spettacolare avventura, Mortal Kombat si rivolge essenzialmente alla più che radicata fanbase della serie di videogiochi.

 

Il che non sarebbe nemmeno un male, perché convoglia verso un pubblico che non ha bisogno di troppi spiegoni un condensato narrativo abbastanza efficace (settantacinque minuti) nonché ammiccante (citazionismi a gogò). È chiaro che lo schema narrativo riveli più di un interesse (il gruppetto dei “buoni” è eterogeneo e vivace), ma chi è completamente esterno alla serie di MK farà un po’ di fatica a entrare nelle dinamiche.

Certo, la scelta di esagerare con la violenza è una carta furba perché rivendica il primato del divertimento trucido e barocco attraverso un’esperienza action fruibile anche se fine a se stessa.