“Houston, abbiamo un problema”. Ma qui anche più di uno.

A differenza della luna, protagonista di Moonfall, che cambia improvvisamente rotta - iniziando a precipitare sul nostro pianeta -, il regista tedesco Roland Emmerich affezionato alle atmosfere catastrofiche non sembra farlo, producendo l’ennesimo dramma di fantascienza colmo di cliché e al limite del ridicolo.

Se nel 2005 Steven Spielberg portava nelle sale l’Apocalisse con La guerra dei mondi, in cui civiltà estranee iniziavano ad abitare la terra seminando terrore, Emmerich con questa pellicola adotta lo stesso incipit capovolgendone però la trama: strane tecnologie aliene dimorano nel nostro unico satellite naturale, creando in quest’ultimo motivo di sopraffazione e di rovina per il nostro globo.

Flashback: Brian (Patrick Wilson) e Jocinda Fowler (Halle Berry), insieme ad un altro collega, astronauti della NASA, vengono attaccati durante una missione spaziale da un flusso di materia non identificata che li fa fallire nell’intento. Il terzo muore, la colpa viene fatta ricadere sul primo, con conseguente licenziamento, mentre a Jocinda viene affidata la direzione della più importante ricerca aerospaziale degli Stati Uniti d’America (?).

Ellissi di dieci anni: gli scienziati della NASA scoprono che “la luna è fuori dalla sua orbita”, ma prima di loro a svelarlo sarà l’inserviente di un osservatorio scientifico, KC, nerd in sovrappeso, interpretato da John Bradley, al quale nessuno vuole dare ascolto.

E mentre la terra subisce inondazioni, non lontane dall’immaginario del regista tipico del film The Day After Tomorrow, causate dall’avvicinarsi della luna, il fastidioso mito del self-made man americano viene a galla nel momento in cui sarà compito di solo tre individui, Jocinda, Brian e KC, di andare nello spazio per cercare di salvare il mondo dalla distruzione totale.

Se c’è una cosa su cui non obiettare è la fotografia. Emmerich utilizza in modo strepitoso il green screen; tutto è un gioco di luci e ombre, di calma e tempesta; è un binomio tra terra abitata e calpestata e pianeta deserto, solo apparentemente, in cui vige l’effetto della gravità.

La componente essenziale tuttavia, che dovrebbe essere quella dell’ironia, manca totalmente e la giustificazione di quello che accade è priva di senso.

Lo sfondo familiare non è approfondito. Le relazioni fra i singoli personaggi risultano la sola ossessione del regista di voler inserire questo tema nei suoi film. Il figlio di Brian che diventa un delinquente dopo la disgrazia che ha dovuto subire il padre si contrappone invece all’attaccamento malsano alla madre da parte di KC, sua unica sostenitrice e oratrice. Ma anche qui, ogni caratterizzazione viene abbozzata, lasciando lo spettatore totalmente indifferente alle vicende.

Come il popolo di Moonfall non era pronto a questo irragionevole disastro, lo stesso possiamo dire noi di questo cinema surreale e assurdamente catastrofico - in tutti i sensi -.

Sicuramente i protagonisti non sono affatto male, anzi, ma anche se sono bastati a salvare la terra da questo precipizio lunare, falliscono invece nel far sopravvivere la pellicola al baratro.

La madre di KC dice al figlio: “Se nessuno ti sente, obbligali a sentirti”. Ma vi prego, non obbligateci a guardare Moonfall.