MINISERIE DISPONIBILE SU NETFLIX

(2021) - EPISODI 7

IDEATORE - Mike Flanagan

CAST - Kate Siegel (Erin Greene), Zach Gilford (Riley Flynn), Kristin Lehman (Annie Flynn), Samantha Sloyan (Bev Keane)


Crockett Island, 127 anime: un’isola di pescatori lontana 50 miglia dal continente. Riley Flynn (Zach Gilford) vi fa ritorno, dopo quattro anni di prigione: accolto dai genitori e dal fratello, è un’anima perduta e caduta in disgrazia all’interno della comunità cattolica dell’isola, comunità la cui fede è stata messa duramente alla prova dalla crisi economica che ha costretto molti abitanti ad emigrare sulla terraferma.

Nello stesso giorno arriva padre Hill (Hamish Linklater), un giovane sacerdote chiamato a sostituire l’anziano monsignor Pruitt, partito in pellegrinaggio per la Terra Santa. Hill è un uomo di chiesa appassionato e attento a ogni membro della comunità, e ben presto la chiesetta del paese torna a essere piena di fedeli. Una fede che rinvigorisce a vista d’occhio quando iniziano a capitare guarigioni miracolose e avvenimenti inspiegabili, tutti riconducibili a padre Hill e alla sua profonda fede. E in effetti la fede c’entra, ma nulla è come sembra: uomini e donne di Crockett Island sono vittime di un angelo della morte, e del loro stesso fanatismo religioso, che li trascinerà alla follia collettiva.

Mike Flanagan ormai va accettato per quello che è, senza riserve. Prendere o lasciare. Ogni volta, soppesati i pro e i contro, ci si ritrova sempre allo stesso punto. Dopo i non memorabili esordi cinematografici (Oculus e Ouija), Flanagan ha affrontato senza paura il suo nume tutelare, Stephen King, l’autore più (e peggio) trasposto al cinema: non male Gerald’s Game per Netflix, del tutto inutile Doctor Sleep (ma non lo aiutava, a onor del vero, il romanzo originale, eloquente nadir dell’ultimo ventennio di carriera di King).

Tornato su Netflix, e desideroso di mostrare a tutti quanto fosse in grado di mettere paura, ha seriamente rischiato di riscrivere la storia del genere horror con una miniserie, The Haunting of Hill House, praticamente perfetta e terrificante fino alla settima puntata, per poi crollare miseramente a livello drammaturgico e tematico. La seconda stagione, Bly Manor, ispirata a Henry James (nientemeno), è invece più lirica e meno orrorifica; Flanagan è meno coinvolto (scrive e dirige solo il pilota) ma la serie funziona, va in crescendo e conquista il pubblico, malgrado gli stessi difetti di Hill House che puntualmente ritroveremo anche nella sua nuova creazione, Midnight Mass.

Prima di soffermarci su quest’ultima occorre ribadire sempre le stesse premesse: Flanagan è da sempre un regista verboso, prolisso, totalmente privo del dono della sintesi. È capace di ripetere l’ovvio e il già detto (o suggerito) in precedenza, con scene parlate soporifere e spiegoni da fiction generalista; possiede una notevole perizia tecnica ed è capace di filmare vertiginosi piani sequenza, ma la sua narrativa è di grana troppo grossa per assurgere a status autoriale.

Detto ciò, nulla di quanto detto impedisce a Midnight Mass a candidarsi come una delle migliori serie dell’anno: perché quando meno te lo aspetti, Flanagan sa tirare le fila, regalare momenti di grande forza emotiva, autenticamente commoventi, e (a differenza di Hill House) a portare tematicamente a compimento la sua lunga parabola in sette capitoli, ambiguamente eloquenti e profani: Genesi, Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Vangelo, Atti degli Apostoli e Apocalisse.

Si parla di religione, in Midnight Mass. E ci si interroga spesso, tramite lo smarrimento dei personaggi, sul suo reale significato, che trascende l’essere credenti (la sfortunata Erin Green, interpretata dalla musa e moglie di Flanagan, Kate Siegel) o atei (il reietto Riley, che pur non credendo sarà in grado di compiere un estremo sacrificio di sé). Si parla del naturale smarrimento dell’essere umano, e del suo bisogno di credere in qualcosa per andare avanti. Ma anche del pericolo immenso della fede, se impugnata e letta nel modo sbagliato: spargerne il verbo travisato, per Flanagan, significa contagiare, diffondere letteralmente un morbo, come vampiri assetati dell’altrui sangue.

O può portare all’apocalisse dell’implosione interna, come certe sette che distruggono sé stesse arrivando al suicidio di massa. È impossibile non pensare a Jonestown o a Heaven’s Gate mentre si assiste a Midnight Mass, due tragedie simili nelle modalità, con un leader in grado di trascinare consapevolmente i suoi adepti alla morte nel nome della resurrezione. Un leader che a sorpresa non è padre Paul, causa della tragedia ma troppo “umano” per portarla alle sue estreme conseguenze, ma un’improvvisata ministra di Dio che incarna perfettamente quel bigottismo integralista presente in tanti romanzi di King.

Tra tanti personaggi ambigui, restii a rivelarsi e che si evolvono all’interno di studiati colpi di scena, è la Beverly Keane di Samantha Sloyan a restare coerentemente, archetipicamente cattiva dall’inizio alla fine: la sua cattiveria è la conseguenza di sostituirsi a Dio e agire a sua immagine e somiglianza. In un crescendo controllato sapientemente, che sfocia in un finale che arriva dritto al cuore, cosa rende speciale questa visione, fino a renderla indimenticabile? Qualcosa che in un prodotto di genere, e specialmente di genere horror, difficilmente ci si aspetterebbe di trovare: una pietas che contraddistingue i personaggi, in grado di empatizzare con chi è dall’altra parte della barricata perché, al netto del conflitto che li divide, sono persone che si conoscono da una vita. In pratica, quanto succedeva in ben altro contesto ne La notte di San Lorenzo dei Taviani: fratelli e amici divisi in guerra, qui una guerra di religione, neanche troppo metaforicamente annunciata da padre Paul.

A volte assistere ai miracoli è possibile. Nel senso che Flanagan, come detto, resta e resterà sempre Flanagan: un incorreggibile tamarro di talento. Ma riuscire a confezionare un prodotto di ottima qualità, in grado di spaventare, commuovere e far riflettere facendosi spesso beffe della soglia dell’incredulità quando non del ridicolo (l’angelo arrivato a Crockett Island in valigia, in barba a qualsiasi dogana, per di più presente in chiesa con tanto di abito talare), ha davvero del miracoloso. Eppure lo scetticismo non paga: tocca farsi san Tommaso, e vedere per credere.