Melinda e Melinda. Ovvero: tragedia e commedia, due opposte facce della stessa storia che nascondono un paradosso. Quello che potrebbe sembrare un elogio della relatività è invece il frutto del Woody Allen più nero della sua carriera. Ma anche del più consapevole. Per lui parla uno dei drammaturghi, dal cui incontro prendono le mosse gli opposti sviluppi della vicenda: "La vita è talmente tragica - tira le somme in una delle scene finali - da poterci soltanto ridere su". Pessimista fino al midollo, ma apparentemente più in pace con se stesso, Allen riesce così in uno dei suoi migliori film degli ultimi anni. Niente cliché e macchiette logore, rinuncia alla presenza sul set ma eccelle (e si diverte moltissimo) in sceneggiatura. L'incipit è tra l'autobiografia e il pretesto: l'incontro-scontro di due commediografi, a cui viene sottoposta la neutra vicenda di una ragazza, che irrompe inattesa a cena da amici che non vedeva da anni. Da qui la sfida interpretativa tra i due, per dimostrare la natura comica o tragica degli eventi. Quello che ne risulta sono due Melinde e due storie diametralmente opposte, ma costellate di punti di contatto. Ed è proprio qui la maestria di Allen: nella sofisticazione con cui identifica e gioca con i trait d'union. Un capolavoro retorico in cui ambienti, situazioni e perfino singoli oggetti, tornano ma vengono capovolti e rivestiti di significati completamente diversi. L'impressione è che la sceneggiatura sia venuta scrivendo. E che scrivendo, Allen abbia sogghignato non poco, fino a costruire un'architettura intricatissima. Impossibile fornire un esempio, senza che appresso venga l'intera matassa del film. Basti sapere che entrambe le Melinde partono dallo stesso bisogno di rimettere insieme i pezzi della loro vita affettiva. E che se una è entusiasta dell'incontro al buio che le hanno organizzato le amiche. L'altra è terrorizzata e titubante. Mentre la prima finisce per sedurre il fidanzato dell'amica, all'altra il fidanzato viene rubato dall'amica. Ricorrenze e similitudini caratterizzando anche gli ambienti in cui si muovono: una è ospite da un attore di serie b, che spera nell'incontro della vita con un produttore, l'altra fa amicizia con una rampante neoregista, che il produttore invece lo seduce, per riuscire nel salto di qualità. Ma il gioco di specchi non finisce qui. Si ripete anzi all'infinito, in un caleidoscopio di situazioni e rimandi, ottimamente sostenuti dal doppio ruolo di Radha Mitchell. Menzione speciale, tra gli altri, a Chiwetel Ejiofor, Amanda Peet e un sorprendente Will Ferrell, in una parte inedita e più sofisticata, rispetto alle commedie demenziali a cui ci aveva finora abituato.