Si può dire con buona certezza, a cinquanta anni dalla prima esecuzione, che Marina è un brano capace di segnare un'epoca. Con 100 milioni di  copie vendute, lo si ascolta e subito si rivede un periodo storico, un'atmosfera, un gusto musicale. Ricostruire i momenti che hanno portato alla nascita del brano è scelta giusta e interessante.
Arriva dunque il film, con lo stesso titolo, ispirato dal vero Rocco Granata, nel quale si racconta la vita di un ragazzo dodicenne che arriva in una cittadina mineraria del Belgio, sente una forte passione per la musica e deve scontrarsi con un padre conservatore per realizzare il proprio sogno. Si parte da un piccolo paese della Calabria nel 1948 e si finisce alla Carnegie Hall di New York, dove Rocco si esibisce a conferma del successo ormai raggiunto.  Proprio questo momento conclusivo (con Rocco che parla in italiano, il padre che lo ascolta in televisione e si commuove per la dedica e i ringraziamenti) può essere preso a misura di un errata distribuzione della materia. Il canovaccio consueto (il dolore dell'emigrante, le difficoltà di essere ‘straniero',  la nostalgia del  ‘ritorno a casa'…) diluisce fatti e avvenimenti secondo una successione dilatata e troppo sottolineata, con inevitabili cadute nel melò. Che va bene quando crea sintonia con sentimenti autentici, meno quando si trasforma in melassa fin troppo prevedibile.
Nelle due ore di durata, Stijn Coninx (già autore nel 1993 del pregevole Padre Daens) alterna sequenze di bella intensità espressiva ad altre lasciate a fungere solo da raccordo tra un passaggio e l'altro. Ossia non del tutto indispensabili.  Prima produzione tra Belgio e Italia dagli anni Sessanta, il film è ben supportato dalla presenza di Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro (il padre e la madre) e da Matteo Simoni nel ruolo di Rocco Granata. Il quale appare in un piccolo cameo a conferma dell'appoggio dato all'operazione.