Lo scorso anno, in occasione del suo primo film La guerra è dichiarata, Valerie Donzelli aveva detto: “Anch'io avrei grosse difficoltà a definirlo. Non credo che si tratti di una commedia drammatica, né di un dramma, né di un melodramma. Col senno di poi penso che sia solo un film fisico, intenso, vivo…”. E si trattava, va ricordato, di una storia su una coppia molto innamorata che ha un figlio cui viene diagnosticato un tumore al cervello, punto di partenza per delineare reazioni forti e razionali tra realismo e favola. Forse lo stesso percorso di non immediata collocazione va riservato alla sua seconda prova, Main dans la main, in concorso al Festival di Roma. A dire il vero, tra i due poli del precedente copione, quello palesemente tragico della malattia scompare, sostituiti da quello, meno angoscioso ma non meno depistante, dell'amore improvviso e incontrollabile. Per una serie di circostanze, Helene, direttrice dell'Opera da ballo Garnier di Parigi, entra in contatto con Joachim, che arriva nella prestigiosa istituzione per conto della ditta di specchi per cui lavora in periferia. Il ragazzo si muove in skateboard e vive con una sorella ossessionata dal ballo. Nei corridoi del teatro, dopo lunghe camminate, Hélene e Joachim si avvicinano e inavvertitamente si baciano. Da quel momento perdono qualunque volontà e restano travolti da una forza che li costringe a stare sempre insieme: se uno dei due si posta, l'altra lo segue, se la seconda si ferma, il primo torna indietro. La situazione si prolunga, intrecciando equivoci, imbarazzi, reazioni incontrollate. C'è bisogno di uno slancio motivazionale e di un coraggio imprevisto per sbloccare la situazione e vincere l'incantesimo.
Il territorio è senza dubbio quello della commedia, romantica, minimalista, gentile. All'inizio c'è il destino, dice la regista, poi l'incantesimo, poi la consapevolezza di piacersi. Su questo piccolo teorema degli affetti, la Donzelli si getta all'inizio con qualche difficoltà, senza riuscire lei per prima a capire dove andare. In seguito, il copione si diversifica e amplia lo sguardo, grazie soprattutto ad una regia che acquista respiro nella conquista degli spazi dell'azione e dei personaggi. Pur partendo da una sceneggiatura non ben equilibrata, Donzelli conferma un bel talento visivo e la capacità di restituire in forme originali l'imbarazzo e la difficoltà di gestire nel Duemila l'eterno gioco dell'amore.