Famiglie complicate. Il padre in Italia, la madre in Francia, l’idea di trasferirsi in Canada. Mentre i tre figli vorrebbero che i genitori tornassero insieme. Lui è uno sceneggiatore senza soldi, vive nella capitale, è un donnaiolo. Lei aspetta un altro bambino, e si è rifatta una vita. Lo sguardo è quello della piccola Alma, con cui la regista Ginevra Elkann si fonde. Spirito autobiografico, in un’opera prima sincera e molto semplice, realizzata tra Roma e una casa al mare.

Magari si immerge nella vita quotidiana di un gruppo pirotecnico, con in testa Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, che interpreta la disinibita nuova amante. Scontri generazionali, crisi dell’infanzia, momenti tempestosi e attimi di idillio. Tutto ruota intorno ad Alma, al suo occhio non ancora disincantato. Crede che ogni situazione in fondo si possa aggiustare.

Più volte ricorre l'istantanea di un matrimonio, ma a cambiare sono gli sposi. È come se fossero dei piccoli capitoli che scandiscono l’andare del tempo e la crescita della protagonista: mamma e papà (l’amore eterno), il papà con la compagna (la presa di coscienza che non si può controllare il mondo), Alma e un ragazzo conosciuto per caso (le prime passioni).

A far sorridere sono anche alcuni aspetti della fanciullezza, che danno al film un tocco di ironia. Alma prega i santi e beve la pipì del fratello più grande per far ravvedere chi si dovrebbe prendere cura di lei, e in chiesa pensa ai dolci invece che alla funzione. Elkann gira con leggerezza, e col magari del titolo cerca di infondere un po’ di magia nella società.

Al grigiore dell’inverno si contrappongono le risate degli amici un po’ folli, i sentimenti. I colori spenti creano un’atmosfera retrò. Alla radio passano Se mi lasci non vale di Julio Iglesias (bella la sequenza in cui la ascoltano in macchina), Stella stai di Umberto Tozzi e Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri. Si ammicca a L’uomo da sei milioni di dollari, mentre in televisione trasmettono Vacanze di Natale. Loghi dell’Hard Rock Cafè in vista, ma anche dell’Inca Kola.

Elkann lavora sui dettagli, si affida alla memoria. Con il cinema che aleggia in sottofondo, quasi come se fosse un fantasma. Scamarcio deve riscrivere uno script che gli hanno appena rifiutato, si adagia sui cliché perché si sente insicuro. E racconta che un giorno sarà Mastroianni a vestire i panni del suo “eroe”. Sembra quasi un’altra dimensione, in cui tutti vorrebbero essere qualcun altro (come il fratello che si sente un “uomo bionico”), ma sono prigionieri del loro personaggio, del luogo in cui vivono.

Sogno contro realtà, spettacolo contro finzione. In un film garbato, elegante, che osa pochissimo, a volte perde la misura, ma riesce a dipingere l’affresco nostalgico di un periodo complesso. Cronaca di una separazione, dalle persone, e dagli anni in cui la spensieratezza sostituiva la responsabilità.