Nell’anno in cui quasi nessuno si pone il problema di cosa fare a Capodanno, L’Uno (dal 23 novembre su Chili Premium, distribuito da NewGen Entertainment, prossimamente in sala) configura un ipotetico ultimo giorno che interroga le nostre angosce contemporanee per proiettarsi in un ambito a tratti perfino distopico, se non proprio fantascientifico. Il titolo, infatti, si riferisce a un oggetto volante non ben identificato, che da quando è apparso in cielo sovrasta e condiziona dall’alto la vita di tutti.

Il film nasce prima della pandemia, certo, ma è chiaro che un’immagine del genere abbia una potenza allegorica che forse solo col senno della pandemia riusciamo a cogliere come qualcosa di vicino a noi. Scrivi L’Uno, leggi Covid? Forse no, o almeno non del tutto, perché paradossalmente il secondo si apre a un orizzonte definito dagli effetti di un vaccino, mentre l’arrivo di un ospite inatteso da lontano resta ancora qualcosa di incomprensibile e misterioso. E, in ogni caso, il film non racconta il cambiamento radicale delle nostre vite, le abitudini imposte dal distanziamento, la paura del contagio e così via.

No, L’Uno racconta uno smarrimento che è più uno stordimento, un rimbambimento, un’ansia sotto la cappa dell’ignoto. Al centro, Marta e Tommaso, isterici quanto basta, che organizzano una festa di Capodanno a cui partecipa il miglior amico di lei con la sua ultima conquista, una ragazza francese conosciuta la sera prima. Spunta poi Cecilia, sorella di Marta, incinta di tre mesi, accompagnata da un amico.

Le pedine sono pronte al gioco al massacro, l’esperimento sociale si coniuga al kammerspiel, la commedia detta il tono. Mentre le ore corrono verso la mezzanotte, L’Uno svela l’esplosione delle tensioni, la dimensione claustrofobica, il terrore che tutto possa finire nel cuore della notte. Cos’è l’Uno? Una minaccia da combattere, un compagno di viaggio, una nuova speranza?

Curiosamente diretto a otto mani da Alessandro Antonaci, Stefano Mandalà, Daniel Lascar e Paolo Carenzo, L’Uno è uno di quei film che alla luce della pandemia scopre significati imprevisti di sé e si presta oggi a essere lo specchio deformato delle nostre esistenze forzatamente domestiche. Più un contraccolpo dei tempi che un presagio, si appoggia su un’idea forte e la colloca all’interno di uno spazio chiuso che è puro teatro per stilizzazione e movimento.

Più compatto nella prima parte dove nel fraseggio recitativo ci sono retaggi della commedia mucciniana (il nervosismo che monta nell’isteria) e tracce della coralità alla Perfetti sconosciuti, il film si sfilaccia un po’ quando tira in ballo nuovi personaggi e le rispettive linee narrative e si apre a una dimensione più arcana, non trovando sempre la voce giusta per definire i contorni di una paranoia. È tuttavia, al di là del tempismo involontario, un oggetto interessante, qua e là simpaticamente sbalestrato ma apprezzabile per lo spirito ardito e indipendente.