Portogallo, 1810. L'esercito francese, comandato dal maresciallo Massena (Melvil Poupaud), avanza implacabilmente verso Lisbona. A fronteggiarlo, un'armata anglo-portoghese guidata dal generale Wellington (John Malkovich), che riesce ad imporsi presso i monti del Buçaco nonostante l'inferiorità numerica. La vittoria costringe tuttavia ad un vertiginoso cambio di strategia: per attirare i bonapartisti verso le fortificazioni nascoste di Torres Vedras - ultima barriera in grado di frenare l'avanzata del nemico -, l'intera popolazione viene chiamata ad abbandonare città e campagne e unirsi ai soldati in un impressionante esodo biblico.
Questo lo scenario di Linhas de Wellington di Valeria Sarmiento, monumentale affresco in costume scritto da Carlos Saboga per Raùl Ruiz, scomparso però improvvisamente nel 2011, in piena pre-produzione. Un progetto che la regista, moglie e montatrice del maestro cileno, ha poi portato a termine scegliendo la strada impervia del kolossal intellettuale, sintesi di spettacolo magniloquente e riflessione umanista sulla condizione dell'uomo a contatto con la guerra. Un occhio al feuilleton e l'altro alla miglior tradizione del cinema bellico, la Sarmiento recupera la struttura tipica del romanzo storico ottocentesco, ovvero l'intreccio tra Storia e singoli percorsi individuali, e sposta l'obiettivo dai campi di battaglia ai volti in fuga verso il tranello di Wellington, dando vita ad un racconto corale di ampio respiro. A contare, più degli spari in lontananza, è l'alternarsi di piccole storie sullo sfondo di un paese desertificato: la nobildonna impazzita dopo una violenza carnale, il sergente innamorato di una vedova inglese, il letterato che, trasportato su un carro insieme alle sue librerie, cerca la moglie scomparsa, e molti altri ancora. Tutti destini sconvolti dall'atrocità del conflitto, personaggi sbozzati con cura (merito di un cast infarcito di grandi attori, tra cui Marisa Paredes, Michel Piccoli, Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Chiara Mastroianni e Mathieu Amalric) e filmati con una delicatezza pittorica ben distante dal talento elegantemente surreale di Ruiz.
Esempio di cinema calligrafico e ostentatamente demodé, Linhas de Wellington vive una forte contraddizione. Film al contempo esangue e appassionato, rarefatto e brutale, retorico e sarcastico, ha infatti nei limiti manifesti i suoi tratti distintivi e nei pregi gli elementi dissonanti rispetto alla sua funzione non dichiarata ma evidente: quella di omaggio alla memoria di un regista talmente unico da non poter essere imitato o reinterpretato efficacemente, neppure a fini testamentari.
Uno strano scherzo, che colloca l'opera della Sarmiento nell'alveo delle irripetibili bizzarrie cinematografiche. Quelle di cui un festival che si rispetti non può privarsi.