Per il suo ritorno al lungometraggio, a ventisette anni dall’esordio Beautiful Thing, Hettie Macdonald gioca sul sicuro: prende il commovente best seller di Rachel Joyce (anche sceneggiatrice), si affida al consumato mestiere di due interpreti infallibili (il premio Oscar Jim Broadbent e la sempre esimia Penelope Wilton), sceglie di abbracciare in pieno il filone del “senior movie”. Dentro L’imprevedibile viaggio di Harold Fry ci sono il peso del tempo che passa, la consapevolezza di dover chiudere i conti col passato, il desiderio di un’ultima avventura, la possibilità (anche inconscia) di trasmettere qualcosa al prossimo.

Ma Macdonald, che dall’esordio a oggi ha navigato nella serialità (ha diretto uno dei migliori episodi di Doctor Who e l’acclamata Howards End), tiene a mente anche il suo Normal People, lo splendido adattamento del romanzo di Sally Rooney che ha rivelato il talento di Paul Mescal: la descrizione di un amore devastato dal destino ma che disperatamente cerca in tutti i modi di sopravvivere alla morte; e la rappresentazione inedita di un maschio che sa interrogare i propri tormenti, fa a cazzotti con se stesso e cerca di venire a patti con l’ingiustizia del mondo. Certo, l’anagrafe dei personaggi non le permette di esplorare l’erotismo (ciò che, forse, sa fare meglio), ma è apprezzabile la maniera in cui Macdonald si muove nei territori di un filone piuttosto prevedibile, collocandosi in uno spazio dai contorni sfumati come la mente di Harold.

L’imprevedibile viaggio di Harold Fry
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry

L’imprevedibile viaggio di Harold Fry

Personaggio che, va da sé, è il film: pensionato della classe media che ha sempre vissuto senza prendere iniziative, schiacciato dalle macerie di un matrimonio finito da tempo, barricato nel silenzio per eludere il dolore della moglie, perseguitato da ricordi (leggi: sensi di colpa) incastonati in una memoria sempre più labile. La sua vita sembra priva di scopo, finché un giorno scopre che una vecchia amica è molto malata: nonostante la contrarietà della moglie, poco felice di ascoltare il nome di quel fantasma (era davvero un’amica?), decide di andarla a trovare attraversando a piedi l’Inghilterra, diventando una vera e propria fonte d’ispirazione per la gente comune.

Joyce e Macdonald trovano lo straordinario nel quotidiano, fanno del gesto da novello e tardo Forrest Gump un esempio di ammirevole coraggio, scoprono l’atto di fede nell’apparente incoscienza. La regia sa lasciarsi suggestionare dal paesaggio, spazio eclettico dove articolare l’imprevisto viaggio dell’eroe: la campagna e il suburbio, il rurale e l’urbano, senza tralasciare gli interni, con la cupa casa dei Fry è davvero il manifesto di un matrimonio senza respiro. Eppure, nonostante due interpreti ineccepibili e uno sguardo all’altezza della storia, L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è purtroppo moscio: quasi una favola (il viaggio, tra ostacoli e aiutanti) coperta dalla tragedia, un incrocio tra mélo e road movie che mantiene meno di quanto promette.