L'equipaggio di una Stazione Spaziale Internazionale sta per tornare sulla Terra. Nel laboratorio di bordo custodisce un campione di un microscopico organismo proveniente da Marte. Una specie vivente in rapida evoluzione e anche più intelligente del previsto, che alle prime viene accolta con grande giubilo (anche sulla Terra, con tanto di "battesimo" indetto tra migliaia di scolaretti, il nome assegnatogli sarà Calvin...), ma che ben presto minaccerà la sopravvivenza di tutti loro.

Dopo l'onesto Safe House e il dimenticabile Child '44, Daniel Espinosa si tuffa nello spazio profondo con questo Life: scritto da Rhett Reese e Paul Wernick, il film mescola sci-fi e horror, resta confinato ("in quarantena") negli angusti locali della Stazione Spaziale e - come qualsiasi horror che si rispetti - ci chiede di indovinare, via via, chi sarà tra i membri dell'equipaggio il prossimo a morire.

Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Ariyon Bakare e Olga Dihovichnaya fluttuano in assenza gravitazionale, mettendo ben presto da parte l'esaltazione data dalle sorprendenti risposte "vitali" del microrganismo che, con tanta cura, osservano e dal quale cercano risposte sulla possibile vita su Marte.

Espinosa, menomale, ci gira poco intorno e - senza alcuna pretesa autoriale o filosofica - si diverte a prendere un po' da Alien e un po' da La cosa: in poco più di un'ora e mezza, allora, l'ospite indesiderato (ormai calamarone gelatinoso e dalla stretta mortale) sferra il suo attacco senza guardare in faccia nessuno. Servirà un finale à la Armageddon per evitare che riesca a raggiungere la Terra e minacciarne l'esistenza. Ma, per fortuna, Espinosa riesce a virare verso conclusioni meno scontate. E consolatorie.