Con un attacco hacker irriverente quanto pericoloso due giovani siriani preoccupano Londra, vittima designata, e mezza Europa, in particolare la Francia. Sulle loro tracce convogliano personaggi ambigui, mossi da motivazioni diverse e al soldo di chi vanta vari interessi; in primis, il raggiungimento o il consolidamento del potere personale. Mentre la posta in gioco si alza ed è sempre più difficile distinguere il bene dal male, una storia d'amore lunga vent'anni cerca una via per soccombere, o per fiorire nuovamente. “Fino a qui, tutto bene”.

Che fine avrebbe fatto il giovane e violento Vinz (Vincent Cassel) de L’odio (1995), opera seminale di Mathieu Kassovitz, se fosse giunto incolume ai giorni nostri? La risposta potrebbe essere in Gabriel, il personaggio che Cassel interpreta in questa serie, un Vinz la cui rabbia è stata piegata dal e a favore del sistema, dandogli in cambio la possibilità di continuare a vivere ai margini, ma stavolta da protagonista.

Gabriel è un uomo di mezz'età col fascino dell'eterno ragazzo, faccia da schiaffi e fisico tirato, mercenario dai numerosi talenti e dal vissuto oscuro, uno che nella melma del malaffare ci sguazza ogni giorno da sempre e che, proprio per questo, è considerato nel suo ambiente affidabile. Come ci finisce il suo Gabriel in questa storia di spie, controspie, politici dei piani altissimi ed enigmatici scalatori al potere? Ovviamente perché è stato arruolato per svolgere un compito. Un lavoro come gli altri, uno dei tanti per cui assume un'identità farlocca, mena forte se serve e porta a casa il risultato.

Vincent Cassel in Liaison (credits: Apple TV+)
Vincent Cassel in Liaison (credits: Apple TV+)

Vincent Cassel in Liaison (credits: Apple TV+)

Ma sulla sua strada stavolta c'è Alison (Eva Green), dritta dritta da un passato che non ha mai dimenticato. È lui a farsi vivo nella più classicamente piovosa delle notti londinesi, ma già anche lei era sulle sue tracce. I due si attraggono e si respingono come calamite dai poli mutanti a seconda del momento, ma il loro legame, uno dei tanti significati del termine liaison - assieme a relazione - è innegabile e incontrastabile. Un thriller dunque, definito dagli stessi produttori "contemporaneo" e "ad alta tensione", in cui si innesta una storia d'amore complessa e sfaccettata, incarnata da due sex symbol certamente non più considerati giovani dai polverosi standard dello show business, ma proprio per questo perfetti nei rispettivi ruoli.

La presenza di Cassel, in particolare, è garanzia di guilty pleasure seriale per la platea che apprezza le forme maschili, spesso disposta a passare sopra alle imprecisioni narrative del prodotto in cambio una bella esibizione di pettorali, magari durante una scena d’azione o di suspense - una formula di intrattenimento che potremmo definire “thriller ormonale”. Lo stesso vale anche per Eva Green, ultraquarantenne splendente dal perenne fascino magnetico che rimane intatto persino dopo un pestaggio. La sua Alison è tormentatissima nel suo presente in cui apparentemente sembra non mancare nulla, né la stabilità affettiva, né le soddisfazioni lavorative e neppure la posizione sociale.

Eppure qualcosa la logora dentro: i sorrisi sono rari, lo sguardo torvo, le frasi spesso taglienti e perentorie. È soltanto una questione di tempo vederla esplodere. Ma il suo mistero è chiuso in lei stessa, e nemmeno l'affascinante e amorevole compagno Albert (Daniel Francis, già visto in qualche episodio di Once Upon a Time) è in possesso della chiave per svelarlo. Anche lo spettatore vive la medesima situazione di buio pesto: il dosaggio delle informazioni in questa serie è sempre sorvegliato, per tenere al massimo la suspense che si dipana intatta nel corso degli episodi e che inevitabilmente conduce alla domanda: quanto Alison e Gabriel possono fidarsi l'uno dell'altro?

Perché ribadiamo, ed è evidente fin dal trailer, Liaison punta moltissimo sulla vicenda sentimentale dei due protagonisti, nonostante il prodotto sia ben incasellato nel canone action/thriller. Questa commistione porta la serie ad assumersi molti rischi, forse non tutti calcolati. Dal punto di vista del genere non c'è nulla da eccepire: le scene d'azione sono ben girate, la narrazione è densissima e la regia non lascia tregua, alternando l'attenzione ravvicinata agli sguardi in primo piano dei personaggi a visioni più ampie e più sporche, ricorrendo spesso ai droni o simulando immagini riprese da telecamere di sicurezza.

Eva Green in Liaison (credits: Apple TV+)
Eva Green in Liaison (credits: Apple TV+)

Eva Green in Liaison (credits: Apple TV+)

Quest’ultima scelta non si riduce a un vezzo artistico, ma ha i piedi ben piantati nel plot. Oltre ad alimentare ottimamente la ben collaudata tecnica del pedinamento dei caratteri, droni e telecamere di sicurezza hanno un senso strettamente diegetico, in quanto rappresentativi di uno dei cuori del mondo che viene qui rappresentato, in cui nessuna azione può dirsi al riparo dagli occhi elettronici sparsi ovunque, sia in cielo che in terra, anche nel più oscuro dei luoghi. Tant’è che la prima volta che Alison rivede Gabriel dopo un paio di decenni dal loro ultimo incontro è proprio in un filmato di sorveglianza, e il magone che le procura non è dissimile da un incontro avvenuto di persona.

Il muro virtuale della lontananza tra di loro non potrebbe avere una rappresentazione più efficace. D’altronde alla regia c’è Stephen Hopkins, un veterano nel genere e non soltanto (Nightmare 5 - Il mito, Predator 2, Judgment Night, Under Suspicion volendo citare alcuni dei suoi film) già produttore esecutivo della prima stagione della leggendaria serie 24 (2001) di cui ha anche diretto metà degli episodi e con varie incursioni nel mondo della serialità; dietro la macchina da presa dei pilot di Californication, Shameless e The Dark Tower, per dire, c'è proprio lui.

Inoltre il gancio con la cronaca attuale è convincente e funziona molto bene. Che si tratti di vicende reali – il dramma del popolo siriano in guerra, tra fughe rocambolesche al confine e la triste situazione dei campi profughi, ufficiali o meno – oppure affini a un presente possibile – la scia di attentati terroristici – la serie riesce a far immergere lo spettatore in un'atmosfera dalle tinte plumbee e inquiete, determinata a suscitare sempre forti emozioni.

Irène Jacob in Liaison (credits: Apple TV+)
Irène Jacob in Liaison (credits: Apple TV+)

Irène Jacob in Liaison (credits: Apple TV+)

Ci sono quasi tutti i demoni degli ultimi vent'anni a movimentare la trama di Liaison, prima produzione televisiva Apple (ovviamente originale) in lingua francese e inglese. Gli attacchi terroristici, con le paure primordiali e incontrollabili che prendono alla gola cittadini comuni e politici; la fragilità della cybersicurezza, messa a repentaglio dall'imprevedibilità, dal genio informatico di turno o da una debolezza umana; le guerre infinite o rapide e il destino di milioni di rifugiati; la Brexit e la fragile stabilità europea.

La caccia a una verità sempre sfuggente diventa una ricerca avvincente capace di creare assuefazione: a ogni svolta narrativa corrisponde una visione nuova e differente delle vicende e il castello di ipotesi costruito fino a quel momento può crollare in un soffio, nonostante l'evoluzione di alcuni subplot sia, inevitabilmente, un po' scontata. Ma è il tributo necessario e ineludibile da immolare all'altare del genere, ben compensato, tuttavia, da scelte di cast appropriate.

Il prolifico Peter Mullan (Magdalene, Ozark, e non dimentichiamo l'esordio con Ken Loach in Riff Raff) ci regala la sua personale interpretazione del politico potente e dai mille volti; l'affascinante Irène Jacob è una donna forte e intelligente in eterna lotta in un mondo maschile; Thierry Frémont la consueta faccia giusta, indipendentemente dal ruolo chiamato a ricoprire; Stanislas Merhar ambiguo e credibile con un'inedita acconciatura. E poi ancora la giovanissima Bukky Bakray, che ha esordito a soli diciannove anni nel pluripremiato Rocks (2019); Eriq Ebouaney, visto recentemente su Netflix in Rogue City e la seducente Laëtitia Eïdo, nota ai più nel ruolo della dottoressa Shirin El Abed nelle prime due stagioni della serie israeliana Fauda (in Italia trasmessa sempre da Netflix).

Irène Jacob e Stanislas Merhar in Liaison (credits: Apple TV+)
Irène Jacob e Stanislas Merhar in Liaison (credits: Apple TV+)

Irène Jacob e Stanislas Merhar in Liaison (credits: Apple TV+)

Fino a qui, tutto bene? Nì, perché se la tensione della trama puramente action non cede fino all'ultimo atto, lo stesso non si può dire della parte di intreccio più romantico. La travagliatissima storia di Gabriel e Alison, seppur avvincente sulla carta, patisce un po' man mano che si snoda lungo gli episodi. Lo svelamento dei personaggi e del loro vissuto soccombe alla lentezza delle varie rivelazioni e all'accumulo disordinato con cui queste ultime sono proposte rischiando, per poco, di sgonfiarsi come un palloncino proprio nel momento in cui invece dovrebbe esplodere con forza.

L’azzardo non sta tanto nella commistione tra generi, quanto nella scelta di raccontare due protagonisti con storie complesse alle spalle, seppur affascinanti, all'interno di uno scenario già di suo colmo per numero di ambientazioni e di personaggi, intrighi e ribaltoni vari. È difficile empatizzare con figure delle quali si ignorano pregressi e obiettivi; forse un approccio meno nebuloso e backstory più semplici avrebbero giovato in tal senso.

Resta tuttavia forte il messaggio – essenziale e accessibile - di cui la serie si fa ambasciatrice, ovvero che non si può sfuggire dal proprio passato e che gli errori compiuti, anche se ormai lontani nel tempo, sono un detonatore pronto a distruggere il futuro. Il confronto con ciò che è stato non si può eludere per sempre: gli amori e i segreti che custodiamo nel nostro cuore potrebbero, infatti, essere la nostra fine.