Les intranquilles è il nono lungometraggio del belga Joachim Lafosse, che scrive a otto mani con Lou Du Pontavice, Juliette Goudot e Pablo Guarise.

Per la prima volta a Cannes, dove nel 2012 guadagnò un premio a Ėmilie Dequenne per À perdre la raison, trova il Concorso, dirigendo Leïla Bekhti e Damien Bonnard, che mantengono i propri nomi quali personaggi, in un dramma familiare che ruota intorno al disturbo bipolare del coniuge, padre e figlio Damien.

Pittore di talento, vive in campagna - il film è stato girato in Lussemburgo per 37 giorni - a contatto con la natura e ancor più con il proprio disagio psichico che non vuole riconoscere: non dorme, fa mille cose insieme, dipinge parossisticamente la notte, mette in pericolo sé e gli altri, compreso il figlio piccolo - lo lascia solo in mezzo al mare... - e i suoi amici. A farne le spese più di tutti è Leïla, restauratrice e tappezziera, che passa la sua vita a controllare il compagno, peraltro con esiti discutibili: periodicamente Damien, recalcitrante al litio, ha un episodio, che lo costringe all'ospedalizzazione nel reparto psichiatrico.

I non tranquilli sono loro, padre, madre e figlio, di cui Lafosse segue il quotidiano come in un acquario o, meglio, uno stagno. C'è possibilità si svolta, riuscita, "guarigione"?

Probabilmente no, ma è anche la patologia de Les intranquilles, che non ha un guizzo, un'evoluzione, un "perché": va bene la disamina, l'anamnesi, sì, ma poi? Limitante, anzi, limitato.