Cinque ragazzi si perdono in un bosco. Impauriti, vagano senza più riferimenti. Girano a vuoto e si ritrovano più volte allo stesso punto vanificando così ogni sforzo per ritrovare la strada e tornare a casa.
Cinque ragazzi si perdono e lo spettatore catturato dalle atmosfere rarefatte si perde con loro, perché la visione di Leones è un'esperienza che molto ha a che fare con l'annullamento della coscienza piuttosto che con la tradizionale fruizione di un'opera cinematografica. L'argentina Jazmin Lopez alla sua opera prima mira infatti alto, trascinando lo spettatore in uno spazio metafisico dove i normali concetti di spazio e tempo si dilatano all'infinito per tessere un rete che avvolge inesorabilmente chi è a caccia di emozioni fuori dal comune e di cinema capace di superare gli abituali schemi narrativi. Leones è un puzzle ricco di tasselli che sostengono un disegno finale sicuramente ambizioso ma lucidamente definito. Lo sguardo della regista diviene amplificatore degli elementi naturali, gli alberi i fiori gli insetti il vento, non meno che dei sentimenti dei protagonisti, in un gioco di rimandi tra essenza della natura ed essenza umana di forte complessità. Ma è anche un film sul cinema, riflessione intransigente su quanto la macchina da presa arriva a catturare e ciò che inevitabilmente resta fuori dall'inquadratura. Non a caso c'è un esplicitò omaggio ad Antonioni, con i ragazzi che improvvisano una partita di pallavolo senza palla. E non manca un riferimento anche a Il diavolo probabilmente e quindi a Bresson, nume tutelare di questa storia di adolescenti al contempo romanzo di formazione e saggio sulla presenza metafisica del male. L'esordio di Jazmin Lopez chiede molto ma in cambio regala un'ora e mezza di cinema al grado zero, cioè fatto di una totale purezza di immagini nonché di assoluta libertà linguistica e visiva. Un gioiello da non perdere per chi ama i film non catalogabili, miscela perfetta di fiction e non fiction, cinema sperimentale, film saggio e video arte.