"Una carezza, alla memoria di ciascuno". Per Fabrizio Bentivoglio è questo il suo esordio dietro la macchina da presa con Lascia perdere, Johnny!, presentato in anteprima al Torino Film Festival. Una carezza collettiva o meglio familiare: lo stesso Bentivoglio interpreta il pianista milanese in trasferta casertana Augusto Riverberi; l'esordiente 17enne Antimo Merolillo il chitarrista Faustino Ciaramella, ribattezzato dallo stesso Riverberi Johnny; Valeria Golino un'estetista dal cuore d'oro;  Toni Servillo il Maestro Falasco, trombettista suonato di un'improbabile orchestra; Ernesto Mahieux l'impresario truffaldino; Lina Sastri la amdre di Faustino, mentre il fratello di Toni, Peppe Servillo un crooner "cecato". Nato dai racconti sgangherati di Fausto Mesolella (anche autore della colonna sonora), il chitarrista degli Avion Travel capeggiati da Peppe Servillo, Lascia perdere, Johnny! si tiene lontano dalle secche della nostalgia e del biografismo spicciolo, per raccontare uno satto d'animo, un mood artigianale che si leva da improvvisati spartiti per farsi vita, spontaneismo esistenziale. Non mancano le stecche - il viaggio finale di Faustino "chiamato" da Riverberi a Milano, ovvero Rho, è fuori fuoco e narrativamente inerte, se non controproducente; Servillo Toni è troppo libero di giogioneggiare, sopra le righe come il cuscino che gli gonfia la pancia - ma costante è la sensazione di sincerità e la percezione del laborio - 9 gli anni di gestazione del progetto - di Bentivoglio. Che ritorna alle atmosfere del mediometraggio Tipota, per risuonare note italiane che si sono perse nell'aria, quando pur mascalzoni gli impresari erano degni di fiducia, un palchetto non si negava a nessuno, e il luccichio televisivo si ripuliva nella polvere delle feste di paese, con cantanti della domenica che stonato l'ultimo pezzo scendevano a far barba e capelli al pubblico. Siamo noi ad aver lasciato perdere Johnny. E con tutte le sue debolezze, il film ce lo ricorda, dandoci un buffetto affettuoso.