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L'anno nuovo che non arriva
Nel bellissimo saggio Bucarest. Polvere e sangue, la polacca Margo Rejmer esplora una capitale che sembra condannata a convivere con l’orrore della nostalgia per il regime di Nicolae Ceaușescu. Forte del suo punto di vista esterno e del suo sguardo non compromesso, il libro ci permette di scoprire un carattere nazionale nel quale collimano la vocazione alla paranoia e una feroce ironia. Due aspetti che ritroviamo anche in L’anno nuovo che non arriva, esordio nel lungometraggio di Bogdan Mureșanu, premiato come miglior film nella sezione Orizzonti a Venezia 81.
Il titolo allude al periodo in cui si svolge la storia: il dicembre 1989, alla vigilia del crollo del regime. Il 20 del mese, prima del Natale in cui verrà giustiziato il tiranno con sua moglie, la Romania è sull’orlo della rivoluzione – e di una crisi di nervi – ma la gente comune non sembra cogliere i semi della rivolta anche perché la televisione oscura le notizie sulle manifestazioni, in primis la violenta repressione a Timișoara.


L'anno nuovo che non arriva
Le vite delle persone si intrecciano in modo imprevedibile: dopo la fuga della protagonista di uno show televisivo previsto per Capodanno, un regista trova una sostituta in un’attrice teatrale in crisi che non riesce a contattare il suo ex fidanzato proprio a Timișoara; il figlio del regista, uno studente, sta trovando un modo per fuggire in Jugoslavia nuotando attraverso il Danubio, mentre viene sorvegliato da un ufficiale della polizia segreta a sua volta impegnato a trasferire la madre dalla casa destinata alla demolizione a un nuovo appartamento che lei detesta; un operaio che si occupa del trasloco è sconvolto quando scopre che il figlio ha scritto una lettera a Babbo Natale in cui rivela che il padre vuole la morte di Ceaușescu.
Nel mosaico di Mureșanu – che espande il cortometraggio del 2018 The Christmas Gift – ci sono l’umorismo nero come farmaco collettivo, la tenerezza verso un popolo incapace di assumersi la responsabilità del futuro, il senso di una fine imminente attraverso la prospettiva di chi non sa padroneggiare il mondo che cambia.


L'anno nuovo che non arriva
In bilico tra la tragedia e la commedia, il furore e il folclore, la farsa e la psichiatria, L’anno nuovo che non arriva – traduzione letterale che illustra il quadro con afflato lirico, voltaggio surreale e precisione chirurgica – è un’opera prima selvaggia e rocambolesca, che evoca il passato dell’oppressione con il formato 4:3, con i cupi cromatismi senza bagliori (fotografia di Biró Boróka), nell’utilizzo sapiente e spudorato dell’archivio, nell’adesione al registro satirico come chiave d’accesso a un sentimento popolare. Tutto in crescendo: la rivelazione è nell’esplosivo finale con il Boléro di Ravel, che dà il ritmo delle cose che cadono.



