Ha diretto molti cortometraggi, Emiliano Corapi, e si vede. I primi quindici minuti del suo secondo lungometraggio, L’amore a domicilio (su Amazon Prime Video dal 10 giugno), infatti, sembrano quasi bastare a se stessi, già compiuti così come sono.

Con il respiro di una storia piccola solo per il breve minutaggio perché invece capace di aprirsi a traiettorie non univoche, il regista costruisce nell’incipit un racconto grazioso che si concentra su due caratteri interessanti proprio in quanto sulla carta “comuni”.

 

Un lui, Renato, quadrato e grigio come l’abito che indossa (il lavoro non aiuta: vende polizze assicurative) che non fa mai il passo più lungo della gamba. E una lei, Anna, misteriosa e abbagliante, che di passi ne fa anche troppi. Dunque un gioco di sguardi, lui timido e pavido e lei maliziosa e sfuggente. Con una scusa, lei spavalda si fa riaccompagnare a casa dallo sconosciuto: un po’ per caso e un po’ per desiderio, i due finiscono a letto.

Siamo mica in un film? In una Roma solare e vivace, riscaldata dai filtri di Vladan Radovic al punto da avvicinarsi ai cromatismi di una possibile, nuova favola urbana e al contempo ripensata in direzione di una destinazione internazionale.

Aria di favola, d'accordo, ma la realtà è un po' più complessa: dopo il sesso, ecco un carabiniere alla porta. E qui comincia il film, una strana commedia romantica che sceglie di raccontare la costruzione di un amore attraverso una spericolata avventura metropolitana tra ritorni di vecchi amanti e rocambolesche vocazioni criminali.

 

C’è molta roba in tutto ciò che arriva dopo quell’incipit così rotondo e allo stesso tempo aperto. E certo Corapi non sceglie la strada più facile, proponendo un tipo di commedia se non originale perlomeno poco praticato in Italia, incrociando una bizzarra love story con sprazzi di heist movie.

L’amore a domicilio si fonda sull’idea vincente che l’amore tra i protagonisti possa resistere fintantoché Anna è costretta a restare chiusa in casa. Cosa potrà mai accadere quando finirà la misura cautelare? Ce la faranno questi due personaggi così lontani e attratti dalle reciproche differenze a portare fuori dallo spazio domestico il loro stravagante e romantico amore in fieri?

La citata fotografia di Radovic sembra adeguare L’amore a domicilio alle caratteristiche estetiche di altri film curati dall’ottimo dop, quasi a suggerire l’adesione a un universo (cromatico, tematico, emotivo) abitato da Smetto quando voglio, Troppa grazia, gli ultimi film di Paolo Virzì. Commedie diverse, sprovincializzate ma calate nei propri mondi, tutte a loro modo empatiche e interessate a cogliere il palpito fiabesco del quotidiano (qui ben espresso nella sequenza della rapina).

L'amore a domicilio
L'amore a domicilio
L'amore a domicilio

La coppia formata da Simone Liberati e Miriam Leone funziona benissimo. Il primo conferma la propria versatilità, dimostrando ancora una volta l’intelligenza di non adagiarsi sul facile ruolo del ragazzo di periferia. La seconda recupera le radici catanesi per dare vita a una ragazza senza pace, vagabonda e scapestrata (“Sono scappata di casa a 17 anni. Chi l’ha visto? due puntate m’ha dedicato”), e usa al meglio la naturale malinconia di uno sguardo abbacinante. Poi, che dire, un tempo un grande scrittore disse di una grande attrice che “incedeva spargendo sesso”: diciamo che i presupposti ci sono, ecco.