Torino, 1883. Una sentenza della Corte d’Appello dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione solo perché donna. Senza un quattrino ma piena di orgoglio e determinazione, Lidia è costretta a rifugiarsi dal fratello avvocato, Enrico, con cui inizia a collaborare da assistente, mentre prepara il ricorso alla Corte di Cassazione. Nell’elegante villa alle porte di Torino, Enrico vive con la moglie Teresa, la figlia Marianna e Jacopo Barberis, misterioso giornalista e cognato di Lidia che la guiderà nei mondi segreti della città. Così con la copertura del fratello avvocato e con l’aiuto del giornalista, Lidia indaga su omicidi, furti e spionaggi, ricercando sempre la verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Tra complotti, borghesi ipocrisie e patriarcali consuetudini, Lidia lotta per farsi strada in un ambiente maschile e maschilista fino a trovarsi di fronte a un bivio: vale davvero la pena provare a cambiare un mondo ostile o meglio andare a cercare fortuna altrove?

La legge di Lidia Poët, creata per Netflix da Guido Iuculano (Romulus) e Davide Orsini (Generazione 56K), con la regia di Matteo Rovere e Letizia Lamartire, è un legal drama d'ambientazione storica che porta alla luce una storia dimenticata, sicuramente poco conosciuta. Resa magistrale dalla brillante interpretazione di Matilda De Angelis nelle vesti di Lidia Poët, diretta dallo stesso regista che la fece conoscere sul grande schermo in Veloce come il vento (2016). Perfetto accento piemontese inframezzato da intercalari in francese, profonda sensibilità e grande maestria, Matilda De Angelis presta il volto a un’eroina dell’emancipazione femminile italiana che meritava di uscire dai libri di legge. Al suo fianco, un altrettanto brillante Eduardo Scarpetta nei panni del giornalista Jacopo Barberis e l’impeccabile Pier Luigi Pasino in quelli di Enrico Poët.

I tre protagonisti aprono uno squarcio su vizi e virtù della società torinese di fine ‘800 attraverso la rilettura di una storia vera. Quella di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia. Piemontese, cresciuta in un’agiata famiglia valdese, laureata brillantemente in giurisprudenza, Lidia Poët divenne la prima donna ammessa all’esercizio dell’avvocatura il 9 agosto 1883, nonostante secondo molti ciò costituisse un oltraggio intollerabile al prestigio e alle tradizioni dell’ordine forense torinese. L’iscrizione infatti fu annullata dalla Corte d’Appello di Torino, con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione, e venne così motivata: “l’esercizio dell’avvocatura da parte di una donna sarebbe una cosa tutt’affatto straordinaria e fuori dalle pratiche e dalle costumanze della nostra vita civile; sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero essere tratte oltre i limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare”; “non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dire di altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre”.

LUCIA IUORIO/NETFLIX
LUCIA IUORIO/NETFLIX

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Attraverso lo sguardo di Matilda De Angelis ci immedesimiamo quindi in questa donna più avanti dei suoi tempi, arguta e ostinata ad ottenere ciò che gli uomini per natura dispongono. Riusciamo a sentire gli occhi degli uomini addosso, a percepire la rabbia di non poter entrare in tribunale a difendere i propri assistiti, le umiliazioni di una donna che la morale e il buon costume di fine XIX secolo volevano un perfetto angelo del focolare, come Teresa, la moglie di Enrico. Lidia invece fuma, beve cognac a notte fonda con Jacopo, va in bicicletta, fa l’amore con chi vuole, sovverte qualsiasi regola. Difende gli emarginati, le donne, le minoranze in nome dei diritti universali. Sempre alla ricerca della verità ad ogni costo. Lidia si insinua nei bordelli e si fa scambiare per una prostituta dei Murazzi se serve per risolvere un caso. Scandalizza i suoi colleghi uomini proponendo l'uso innovativo delle impronte digitali per l'identificazione dei criminali. Si improvvisa giornalista o maestra all’occorrenza, investigatrice sempre ai limiti della legge, pur di provare l’innocenza dei suoi assistiti. Con l’aiuto del giornalista penetra nelle maglie della società torinese, mentre si lascia coinvolgere in un triangolo di impetuosi sentimenti e brucianti passioni.

Attraverso una narrazione avvincente che usa i codici del giallo e il linguaggio del crime, la serie quindi ripercorre le vicissitudini di una storia personale in cui si riflette la storia di un Paese. In bilico tra il ritratto storico e il thriller di genere legal, La legge di Lidia Poët racconta con il nostro sguardo contemporaneo la battaglia di una donna di fine ‘800 sulla colonna sonora, energica e graffiante, di Riival. Lidia impara ad andare in bicicletta sulle note rock di Mademoiselle K e si abbandona a flirt notturni su quelle elettroniche di Thom Yorke. Sullo sfondo dei tetti di Torino su cui spicca la Mole Antonelliana ancora in costruzione (sarà inaugurata nel 1889), Lidia ci conduce tra rifugi di anarchici, carceri, case chiuse, manicomi e ville dell’alta società di una città che aveva da poco perso il titolo di capitale d’Italia. A passo sicuro va nelle strade buie di notte, vestita di eleganti abiti in velluto, crinoline ed eclettici cappelli realizzati dalle costumerie Tirelli Trappetti e Laboratorio Farani, su indicazione del costumista Stefano Ciammitti. Il ritratto di un’eroina moderna in un mondo che non era ancora pronto. "Possiamo perdere, ma almeno proviamo a combattere", era questo lo spirito di Lidia Poët che ora sicuramente non dimenticheremo.