Sull’onda della “Ferrante Fever” che ha investito lettori e lettrici degli Stati Uniti, con La figlia oscura Maggie Gyllenhaal ha scelto di adattare liberamente il terzo romanzo della misteriosa (più o meno) scrittrice per il suo esordio dietro la macchina da presa, arrivando subito in concorso a Venezia 78.

E immediatamente, sin dalle prime scene, lo sguardo dell’attrice diventata regista rivela l’omaggio a marche e stilemi del nuovo cinema europeo degli anni Sessanta nella sua espressione filtrata anzi edulcorata dall’arthouse americano. Il punto di forza, tuttavia, è nell’armonia con Olivia Colman, splendida protagonista che innesta il tormento della sua Leda con un repertorio di capogiri improvvisi e battute cringe.

Professoressa di Letteratura comparata italiana a Cambridge, Leda Caruso ha 48 anni, due figlie sulla ventina e si concede una lunga vacanza a Corinto. Si dimentica di pranzare, fa amicizia con uno studente irlandese che arrotonda facendo il bagnino (Paul Mescal), non cede alle avances del maturo avventuriero sotto casa (Ed Harris).

Tutto cambia quando, in spiaggia, si trova a contatto con un clan familiare villano e sgradevole e comincia a osservare il rapporto tra una giovane madre (Dakota Johnson) e la figlia. E quando la bambina si perde, nella memoria di Leda riaffiorano i ricordi legati al disorientamento di fronte a una maternità messa alla prova delle legittime ambizioni professionali e del bisogno di emanciparsi dagli schemi imposti dagli altri (la sempre singolare Jessie Buckley è Leda da giovane).

THE LOST DAUGHTER (L-R): OLIVIA COLMAN as LEDA, PAUL MESCAL as WILL . CR: NETFLIX © 2021
THE LOST DAUGHTER (L-R): OLIVIA COLMAN as LEDA, PAUL MESCAL as WILL . CR: NETFLIX © 2021
THE LOST DAUGHTER (L-R): OLIVIA COLMAN as LEDA, PAUL MESCAL as WILL . CR: NETFLIX © 2021
THE LOST DAUGHTER (L-R): OLIVIA COLMAN as LEDA, PAUL MESCAL as WILL . CR: NETFLIX © 2021

Così, mentre il clan diventa sempre più minaccioso, per Leda la serena vacanza vista mare si trasforma in una discesa negli abissi della mente, un momento catartico in cui fare i conti con le zone d’ombra dell’essere madre. È giusto dare ancora voce alla “madre snaturata” che Leda crede di essere stata? Ma chi decide come essere madre?

Mélo con ambizioni d’autore dove il tempo si fa liquido per bagnare i tormenti della sconquassata protagonista, La figlia oscura riflette sul conflitto tra chi siamo e ciò che vorremmo essere, sulla percezione che ognuno ha di sé e gli effetti dello sguardo altrui.

Ricalcando modelli europei, Gyllenhaal mette su un reader's digest del cinema d'auteur anni Sessanta e cerca di nascondere la confusione dell’andirivieni con la ricerca della frantumazione, affidandosi a valori formali coerenti con l’operazione quanto strumentali a una proposta blandamente arthouse (su tutti la fotografia di Hélène Louvart e il montaggio di Affonso Gonçalves). Dell’opera prima ha quasi tutto: la rivendicazione dei modelli, la generosità nel metraggio, il feeling con i personaggi.