L’illusione è uno strumento potente nelle mani del regista Guillermo del Toro. ll confine tra realtà e finzione è sempre misterioso, le immagini ingannano, si vede solo il lato oscuro delle cose. Forse La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è il suo film più teorico. Degli occhi non ci si può fidare. Il protagonista è un falso medium, un uomo che gioca con le tragedie degli altri per il proprio tornaconto, la chiave è credere o non fidarsi. Ma non siamo in Il labirinto del fauno, dove due mondi si sfioravano sotto il passo della dittatura franchista. Non ci sono case infestate (Crimson Peak) o creature rinchiuse in un laboratorio (La forma dell’acqua).

Del Toro non lavora più su ciò che è sotterraneo, qui il mostro è l’essere umano. Il cineasta messicano si ispira all’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, già portato sullo schermo nel 1947 da Edmund Goulding, con Tyrone Power. Mantiene le atmosfere ciniche, morbose, della versione degli anni Quaranta. Ma all’epoca la produzione aveva imposto dei risvolti narrativi meno cupi, invece adesso le atmosfere perdono i toni della favola nera. Lo capiamo fin dalle prime inquadrature, in cui l’antieroe trascina un cadavere per poi dargli fuoco. Più volte quelle fiamme verranno mostrate durante il film, ma al contrario. Si sviluppano dall’alto verso il basso. È la memoria, il trauma, che non dà scampo. C’è spazio solo per la colpa, non per la redenzione.

A dimostrarlo sono anche le cromature delle immagini. C’è un momento che La fiera delle illusioni sembra condividere con La forma dell’acqua: un viaggio in autobus. In La forma dell’acqua Sally Hawkins veniva accarezzata dalle luci al neon, mentre andava a lavorare nel segretissimo “bunker” al centro della vicenda. Qui invece Bradley Cooper si addormenta in pieno giorno, e si risveglia nel buio. Stupendo il campo lungo in cui Cooper si allontana dalla villetta da cui tutto inizia, ormai in fiamme. Del Toro annulla il concetto di distanza. Per tutto il film ciò che viene ripreso da lontano è in verità un’ossessione, un incubo a cui è impossibile sottrarsi. Con intelligenza il regista lavora sui paradossi.

 

Bradley Cooper in the film NIGHTMARE ALLEY. Photo by Kerry Hayes. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved
Bradley Cooper in the film NIGHTMARE ALLEY. Photo by Kerry Hayes. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved
Bradley Cooper in the film NIGHTMARE ALLEY. Photo by Kerry Hayes. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved
Bradley Cooper in the film NIGHTMARE ALLEY. Photo by Kerry Hayes. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved

Il circo è sempre quello dei freak, l’uomo combatte contro il suo spirito animale, il suo essere “bestia”. L’attrazione più importante del macabro spettacolo gestito da Willem Dafoe è proprio una belva umana. Guardarlo mentre spezza il collo a una gallina costa un quarto di dollaro. Cooper lo osserva in silenzio, per i primi quindici minuti non parla. È come se si specchiasse in quell’abisso.

La fiera delle illusioni è una cronaca di abbracci impossibili, di tormenti irrisolti. Non c’è spazio per la bellezza. L’unica creatura pura ha il volto di Rooney Mara, e la sua massima vetta è fingere la morte su una sedia elettrica. E Cate Blanchett? Qui è più pericolosa di un serpente a sonagli. Sarebbe sbagliato parlare di un remake di un film d’altri tempi. La fiera delle illusioni è il riflesso della disperazione di oggi. Cambiano le guerre (non c’è più Roosevelt), cambiano le crisi (la Grande Depressione ha solo un’altra identità), ma l’inganno e il terrore della perdita restano i grandi protagonisti del nostro tempo. L’incanto si trasforma in disincanto, mentre si aspetta il prossimo numero di magia.