Un villaggio della Polonia occupata, estate del ’43. Un gruppo di giovani uomini e donne vaga per la foresta alla ricerca di legna da ardere. Tuttavia, l’atmosfera di astrazione bucolica è presto turbata dalla scoperta, in un fosso, del corpo di un ebreo moribondo, probabilmente in fuga dai rastrellamenti. Che fare, a questo punto? Consegnare l’uomo ai tedeschi o ai collaborazionisti, in cambio di un po’ di denaro e di qualche provvista? Oppure cercare di alleviare le sue sofferenze prima della morte ormai inevitabile? Il gruppo si spacca al proprio interno e, mentre la giornata prosegue sino a declinare, l’orizzonte degli eventi si affretta verso la drammatica conclusione.

La tragedia della Shoah è al centro dell’ennesimo film che si serve del secondo conflitto mondiale per mettere in atto una disamina delle relazioni umane, dominate dall’avidità e dall’odio per il diverso e raramente illuminate da lampi di compassione. L’esordio nel lungometraggio del regista polacco Piotr Chrzan, in concorso alle Giornate degli Autori, si caratterizza per una certa staticità d’impostazione teatrale, ma centra il bersaglio quando si tratta di mettere a nudo le motivazioni del singolo e l’incombere della violenza della Storia sui destini individuali.