Torna Turturro e torna il suo Jesus, ben lontano da qualsivoglia riferimento religioso (nonostante gli altri due protagonisti, Peter e Marie): Jesus Quintana è un eclettico maestro del bowling, un cane sciolto finito in carcere per offesa al pudore che tuttavia, per sopravvivere a modo suo, non esita a rubare soldi, ‘prendere in prestito’ auto e minacciare civili. Un personaggio potenzialmente molto carismatico, ma forse meno profondo di quel che si vorrebbe far credere.

Non importa, però, perché la potenza di un cult come Il Grande Lebowski si basa su dinamiche assurde ai limiti del nonsense e umorismo sopra le righe. È quindi lecito aspettarsi lo stesso da Jesus Rolls, giusto?

Sì e no. Sì, perché il film tenta di imitare la grottesca spontaneità del capitolo da cui prende le mosse. No, perché non ci riesce e, contemporaneamente, Turturro fa di tutto per dare una nuova profondità al suo personaggio. Che poi sarebbe un’operazione pienamente legittima, se offrisse dei contenuti realmente indipendenti.

Non è nemmeno il fatto che il film rilegga (piuttosto fedelmente) la commedia del ’74 di Blier, I santissimi, a sua volta tratta dal romanzo omonimo, ma che lo fa senza ri-leggere davvero. Remake e rivisitazioni, ancor più che spin-off, dovrebbero mettere sul piatto perlomeno un nuovo punto di vista, e quelli offerti da Jesus Rolls sono quasi tutti stonati, fallaci, magari convinti ma comunque friabili.

Il trio di protagonisti, John Turturro, Bobby Cannavale e Audrey Tautou, non sa quello che vuole e si ritrova imprigionata in un paradosso di libertà volgarmente semplificata; il film ha lo stesso problema. Si vorrebbe, poi, esplorare la dimensione della donna ma senza andare oltre personaggi femminili che sono mamme, prostitute o entrambe le cose.

I personaggi maschili, di contro, nella parte dei beoni di buon cuore non incontrano difficoltà significative sulla propria strada (in un film on the road, abbastanza assurdo) e quindi non vivono alcuna grande evoluzione.

La sola eccezione è la parentesi di pellicola con Susan Sarandon, che tra i camei innocui di Jon Hamm e Christopher Walken, e tra i tanti superflui episodi di storia verticale (come quello del bowling, mero materiale da trailer), è l’unica a dare uno spessore di rilievo alla vicenda, esaltando anche gli altri attori. Purtroppo, non è abbastanza a salvare il tutto.