Figlio, fratello, padre, amante, marito, padre, esploratore, consumista, artista, innovatore.

È Jeff Kons secondo Pappi Corsicato, che dopo il suo Toni, inserviente d’albergo con la Perfetta Illusione di diventare pittore, sceglie il doc per scoprire l’artista statunitense per molti erede di Andy Wharol, per tutti campione del neo-pop nell’era del consumismo dilagante.

L’afflato ammirato, quasi devozionale, però, nell’accenno ondivago a sculture, installazioni, risemantizzazioni di prodotti, non impedisce di intrattenersi con il protagonista e la famiglia. Ecco l’uomo dietro l’artista: fratello, padre, marito. Ecco traumi e slanci che sorreggono anche le più sgargianti, le più kitsch istallazioni di Koons.

Il filo biografico si srotola dalla Pennsylvania anni Cinquanta: il piccolo Jeff cresce, incoraggiato dai genitori, tra Natura e pittura, tra cavalli e esplorazione artistica. Poi la passione per la filosofia, l’arte come magnifica ossessione, e una figlia avuta da ragazzo e riabbracciata da adulto.

Nel mezzo, sempre, sperimentazioni, slanci, intuizioni, ma anche infingimenti e compromessi (il biennio come operatore di borsa tra Wall Street e il Moma), fino alla gratificazione planetaria dagli anni Ottanta in un mondo che oggi ha l’aspetto di una grande Casa Kons, pronta ad accogliere dall’America all’Italia, dal Qatar alla Grecia le opere di un artista alla costante ricerca di un linguaggio universale con le parole (leggi, gli oggetti) del suo tempo.

Kons, insomma, artista per il pubblico, connettore di mondi, come di due famiglie in dialogo tra America e Italia, tra Occidente e Nuovo mondo tra Fidia e i baloons, tra la classicità apollinea e quotidianità dei consumi.

Nelle pieghe emotive del doc, Corsicato cerca soprattutto l’ottimismo magnetico, instancabile di un’artista, meglio di un padre pacificato, che ispira fiducia e serenità, eppure è eternamente all’inseguimento di nuovi linguaggi: è questo magna emotivo che cementa prima di tutto il lessico famigliare dell’artista (oltre a critici e artisti, e, sfilano entusiasti, davanti alla macchina: figli e figlia, moglie, sorella). L’emotività, insomma, sovrasta la creatività, lo slancio alla paternità la ricerca creativa.

Il cono privato d’indagine, volutamente intimista, però, non impedisce di intercettare linee, tendenze, convinzioni, poetiche di Koons. Il montaggio di Natalie Cristini, tra foto di famiglia, home movies, filmati d’archivio e cinegiornali, connette per associazioni illogiche famiglia e laboratorio, i Tulips e i figli nella rimessa di campagna.

Un ritratto privato, insomma, che eleva a fatto artistico le confessioni di un uomo capace di creare una corrente che fa capo solo a sé stesso, che tenta e mescola fuori dalle convenzioni e dagli orizzonti d’attesa del pubblico come della critica. Kons re del readymade com’è noto: più che un pungolo civile, uno spazio d’indipendenza (la villa rustica in campagna per sfuggire il caos urbano di New York) e di espressione anticonvenzionale perché privata, sentita, autentica. E per questo universale.