“La tenerezza, tenerezza è detta, se tenerezza cose nuove dètta”. Sono versi di Sandro Penna, che Gianni Amelio citava per la seconda volta in un suo titolo. Il film era La tenerezza, del 2017. Sono trascorsi cinque anni, ma lo spirito e quel “cose nuove dètta” restano immutati. Oggi siamo arrivati a Il signore delle formiche, passando dall’anima lacerata del nostro Paese, da Hammamet. Ma la prima domanda, fin da Colpire al cuore, è la stessa: che cosa faresti per amore? Amelio aveva risposto con il carabiniere di Il ladro di bambini, che si scopriva quasi padre nell'attraversare l’Italia con quelle due creature, o con Così ridevano, quando un ragazzo si sacrificava per non rivelare i delitti del fratello. Umanesimo, famiglia, accettazione, temi ricorrenti, necessari, che si riversano anche in Il signore delle formiche.

“Io non sono come gli altri, ma sono anche come gli altri”, dice il professor Aldo Braibanti al ragazzo che ama. E forse è questa affermazione che riassume il senso di un’opera bellissima, una delle vette del cinema del regista. L’Italia degli anni Sessanta, dei benpensanti, si specchia in quella di oggi. All’epoca si sostituiva la parola omosessualità con “plagio”, nel 2022 ci si mostra progressisti, ma poi si aggrediscono i ragazzi per le strade. Che cosa è cambiato? La superficie. Ma tutti hanno il diritto di amare chi vogliono, sostiene un Elio Germano infervorato, che presta il volto al cronista di un giornale di Partito che deve seguire il “caso Braibanti”.

Qualcuno magari se lo ricorda, Braibanti. Un uomo di cultura, commediografo, mirmecologo, per alcuni un filosofo, accusato di aver “corrotto”, abusato psicologicamente di un suo studente ventitreenne. Si arriva in tribunale, la passione viene spenta con l’elettroshock, al banco degli imputati c’è la libertà, la stessa che veniva attaccata in La tenerezza. C’era sempre Germano, che in una scena fortissima assaliva un venditore ambulante. Alla violenza seguiva il pentimento, uno sguardo fisso, senza parole, che come scriveva Penna: “cose nuove dètta”. E allora anche un genitore poteva riemergere dal fango dei suoi anni, per diventare più forte dei suoi difetti e ricominciare a sentirsi libero, libero di essere sé stesso, imperfetto e ancora una volta umano. Proprio come Braibanti, come il giovane Ettore, come un’Italia che deve riappacificarsi con chi la abita.

“Le proteste si fanno per il Vietnam, non per un invertito”, urla un giovane avvocato calabrese, un futuro principe del foro. Ed è proprio sul futuro che ci fa riflettere Amelio. Ci racconta del passato, lo porta nel presente, ma la spinta è verso il domani.

Un cinema classico, potente, e allo stesso tempo modernissimo. Un film che parte da Quando volano le cicogne di Kalatozov e si chiude un’aria dell’Aida, un film che affronta più linguaggi, che unisce la macchina da presa al palcoscenico. E che trionfa nel suo intimismo, nei sentimenti trattenuti, nella tragedia dell’intolleranza, nel dolore di due madri dilaniate che  non possono guardarsi negli occhi.

A brillare sono anche gli attori. Germano e Lo Cascio fanno scintille, ma la vera scoperta è l’esordiente Leonardo Maltese. Ha già ipotecato il Mastroianni? Forse. Intanto Il signore delle formiche, in concorso alla Mostra di Venezia, emoziona, scava in profondità e sa toccare le corde giuste, di ieri e di oggi.