Dopo El Clan, Pablo Trapero si sposta ai giorni nostri. Sempre in famiglia, e con i toni della commedia, ma guarda ancora al periodo della dittatura argentina.

Dopo lunghi anni di assenza, e a seguito dell’ictus di suo padre, Eugenia (Bérénice Bejo) ritorna a La Quietud, la tenuta di famiglia vicino Buenos Aires, dove ritrova la madre e la sorella (Martina Gusman). Le tre donne sono costrette ad affrontare i traumi emotivi e gli oscuri segreti del passato che hanno condiviso sullo sfondo della dittatura militare. Emergono rancori sopiti da tempo e gelosie, il tutto amplificato dall’inquietante somiglianza fisica tra le due sorelle.

La quiete. E' naturalmente già nel titolo del film, che rimanda al nome della meravigliosa tenuta dove il tutto (o quasi) è ambientato, che Trapero opera la prima azione di contrasto, l'ossimoro da cui tutto parte.

Ed è abbastanza eloquente, nelle intenzioni, anche un attimo dopo che le due sorelle protagoniste si ritrovano chissà dopo quanto tempo, con Eugenia che la notte stessa si stringe nel letto di Mia per poi masturbarsi entrambe.

Ok, le due sorelle sono molto legate.

Ma perché, allora, Eugenia, la maggiore, è così amata dalla madre mentre con Mia è un continuo battibecco? E perché, entrambe, nascondono segreti così intimi una nei confronti dell'altra?

 

Trapero sembra in primo luogo divertirsi a spostarsi dall'ambientazione ferocemente patriarcale del film precedente e muoversi all'interno di dinamiche esclusivamente femminili, gioca con intrecci sentimental-amorosi apertamente iperbolici e dissemina qui e là alcuni riferimenti al passato senza approfondirli mai troppo, facendo partire il tutto da un accertamento su alcune procure false che poi, vedremo, scoperchieranno il vaso di Pandora.

Lo spunto è dato dalla somiglianza tra le due interpreti, Bérénice Bejo e Martina Gusman, chiamate ad un compito non facile. Quello di recitare in un presente condizionato però dagli anni dell'infanzia e dell'adolescenza dei due personaggi, riuscendo a restituire quel grado di intimità e al tempo stesso di verità taciute.

E' questo l'aspetto più riuscito del film, che guarda sì al passato ma senza ricorrere (per fortuna) a nessun flashback ma che, nonostante questo, soffre per sovraccarico: il regista argentino sembra non accontentarsi mai e via via che l'intreccio si amplifica crescono parallelamente le situazioni inverosimili.

Funerali al limite, nuovi (?) tentativi di suicidio, gravidanze isteriche, chi più ne ha più ne metta. Per giungere ad un finale forse coerente con tutto il percorso del film, ma quantomeno discutibile per altri mille motivi.