Un mondo a parte. Il regista Paul Schrader costruisce microcosmi, percorsi di redenzione che nascono da luoghi circoscritti. Pensiamo al paese del pastore di First Reformed – La creazione a rischio, e adesso al giardino di Il maestro giardiniere, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia.

La natura è ancora una volta la via per riscoprirsi. Il protagonista ha un diario, dove annota i particolari relativi alla cura delle piante. Attraverso l’attenzione per l’esterno, ha raggiunto la sua armonia. Schrader si concentra sull’espiazione, radice delle sue storie. Anche qui il cardine è la colpa, la solitudine, il disagio generazionale, il rapporto difficile con i padri putativi.

Il maestro giardiniere si interroga però anche sulla bellezza, rappresentata dalla comunione con i fiori. Schrader riflette sui tormenti dell’essere umano, in chiave moderna, mettendo note anche politiche. Guarda all’attualità in modo sempre lucido, senza mai assumere toni da comizio. La struttura potrebbe ricordare quella di Il collezionista di carte. Un uomo solitario (però in questo caso benvoluto dalla comunità) gestisce l’anima bucolica di una villa. Di lui sappiamo poco, fino a quando una giovane in difficoltà gli viene affidata dalla padrona. L’elemento di frattura sorge da età diverse messe a confronto.

Schrader però dipinge una realtà meno cinica, dove c’è spazio anche per la speranza. Il rapporto “genitoriale” muta, puntando invece sull’amore, sulla passione. L’identità è scritta sulla pelle, attraverso tatuaggi feroci, che non lasciano spazio a problemi di interpretazione. Come sempre sono le immagini a essere dominanti. Per Oscar Isaac il passato veniva mostrato attraverso sequenze distorte, flashback deliranti. Qui la macchina da presa restituisce scene nitide.

È come se Schrader costringesse a confrontarsi con il mondo di tutti i giorni: la lotta tra bene e male in un’America che ormai è sempre più grigia, lontana da chi ha bisogno. Schrader si fa cantore degli ultimi, con una cifra stilistica che si destreggia tra sacro e profano. Il messaggio spirituale è chiaro, anche se non siamo all’interno di una chiesa. Schrader si dimostra sempre più attento all’universo che lo circonda, il suo è un cinema maturo, trattenuto. E Il maestro giardiniere ne è la prova, nel suo essere un affresco di confine, disperato, che scava in profondità e gioca con le emozioni nascoste. Violenza e grazia, in un lungo cammino verso una felicità forse impossibile da raggiungere.