Difficile per Johnny Depp trovare un ruolo più calzante di W. Eugene Smith, il celebre fotoreporter che, al momento dei fatti narrati in Il caso Minamata, era ormai l’ombra di se stesso: alcolizzato, alla deriva, in polemica col mondo, con un grande passato alle spalle e il futuro come incognita.

La possibilità di una svolta gliela offre il direttore di Life (Bill Nighy, solito sornione): una trasferta nella città costiera giapponese di Minamata, devastata dall’avvelenamento da mercurio, risultato di decenni di inquinamento industriale da parte della Chisso Corporation, un’importante azienda chimica giapponese.

Stimolato dall’incarico, Smith si vota alla causa mettendosi a disposizione della comunità ed entrando in contatto pescatori del villaggio: le sue immagini potentissime racconteranno al mondo gli effetti catastrofici sulle persone e costituiranno una documentazione fondamentale non solo per testimoniare la tragedia ma anche per ottenere un risarcimento da parte della Chisso e dal governo giapponese.

L’uomo con la macchina fotografica è un uomo armato, lo sa Smith e lo sa il direttore: il loro è uno scontro destinato a soddisfare le esigenze di entrambi, con il comune obiettivo di restituire al più vasto pubblico possibile il segno della tragedia.

Il caso Minamata

Non a caso Il caso Minamata si chiude – spoiler? No, è storia – con una delle più iconiche fotografie del ventesimo secolo: Il bagno di Tomoko, che ritrae una ragazza, affetta dalla Malattia di Minamata (sindrome neurologica causata da intossicazione acuta da mercurio i cui sintomi includono atassia, parestesie alle mani e ai piedi, debolezza dei muscoli, indebolimento del campo visivo, danni all’udito e difficoltà nell'articolare le parole fino a disordine mentale, paralisi, coma e morte), lavata dalla madre nel bagno tradizionale.

Con la regia corretta ma priva di particolari guizzi di Andrew Levitas, è un film old style che si avvale della fotografia di Benoît Delhomme che guarda alle atmosfere dei thriller di denuncia e della colonna sonora di Ryuichi Sakamoto chiamata a punteggiare il versante emotivo della vicenda. Didascalico quanto basta, retorico il giusto, coinvolgente senza eccedere. Non solo Depp, che comunque ha l’intelligenza di non cannibalizzare il film offrendo una performance calibrata.