Può un film catturare l’essenza della guerra? Coglierne la verità? Il grande László Nemes si era posto la stessa domanda, ma sull’Olocausto. E la risposta era stata negativa. In Il figlio di Saul aveva fissato la cinepresa sulla nuca del protagonista, eliminando il controcampo, riducendo allo stretto necessario il mondo che lo circondava.

Oggi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti indagano il rapporto tra conflitto e cinema nel documentario Guerra e pace, in concorso nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia. Lavorano sull’immagine, sulle pellicole, iniziando dal 1911 con la quasi dimenticata campagna di Libia.

Ancora una volta suddividono il racconto in quattro parti, come in Spira Mirabilis: passato remoto, passato prossimo, presente e futuro. A ogni tempo corrisponde uno spazio diverso: l’Istituto Luce di Roma, l’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri italiano, l’Ecpad (Archivio Militare e Agenzia delle Immagini del Ministero della Difesa Francese), e gli archivi della Croce Rossa alla Cineteca Svizzera di Losanna.

Quella di D’Anolfi e Parenti è un’indagine che mira a fornire un’identità a non-luoghi spesso collegati solo alla funzione per cui sono stati costruiti. Si torna a Il castello, girato nell’aeroporto di Malpensa, all’astrazione di Materia oscura, realizzato nel poligono di Salto di Quirra, in Sardegna. Corridoi vuoti dove a notte fonda i monitor hanno ancora qualcuno davanti, stanze silenziose, dove al centro troneggia solo un proiettore.

Guerra e pace. La guerra la si vive tutti i giorni, la pace è un breve periodo tra una battaglia e l’altra. Solo in una sequenza si vedono i soldati in azione, per il resto la brutalità è figlia dei telefonini, dei filmati di repertorio. Ma possiamo davvero cogliere il senso di questa violenza? Forse no. Ciò che traspare da Guerra e pace è che la si può solo “immortalare”, per poterla consegnare alle generazioni future. Però il significato reale appartiene solo a chi è presente.

 

Lo spiega anche il formatore ai suoi allievi dell’Ecpad. Il loro compito è avere pronta la macchina fotografica, ma davanti alla morte devono scegliere se impugnare il fucile o rendere testimonianza. E non esiste una scelta giusta. È così che nasce la conservazione della memoria: dal dubbio, dalla decisione di premere oppure no un grilletto.

Guerra e pace si interroga sulla Storia, sulla vita umana, scava in profondità. Prende in prestito il titolo dal capolavoro di Tolstoj e invita a riflettere sulle implicazioni che si nascondono dietro a queste due parole. Che smuovono economie, inventano ordini, e stimolano sempre nuovi interrogativi sul grande schermo.