Potremmo cavarcela dicendo che Fresh –in anteprima al Bif&st e disponibile dal 15 aprile su Disney+ – somiglia al suo protagonista maschile, lo Steve incarnato dall'ottimo Sebastian Stan: carino, seducente, brillante; ambiguo, subdolo, sinistro. Tutto qui?

A questo punto, evitando accuratamente improvvidi spoiler, tocca dire che, esattamente come il personaggio interpretato da Stan, Fresh non è quel che sembra. A partire dalla sua collocazione primigenia: il Sundance, il festival del cinema indie americano in cui è stato presentato a gennaio. Che cos’è, oggi, l’indie americano? Che cosa racconta, oggi, quella produzione che solo per convenzione definiamo così?

A essere sinceri, qui di indie c’è giusto lo spirito corsaro che ha portato la sceneggiatrice Lauryn Kahn e la regista Mimi Cave (già autrice di videoclip) a confrontarsi con un tema piuttosto spericolato, un non-detto che riguarda certamente le élite della società ma interroga le coscienze, l’etica, la morale.

Lo diciamo? Lo diciamo (quindi chi vuole si fermi qui). Quel Fresh ha a che fare con la freschezza della carne. Umana. Che diventa merce pregiata, desiderio inconfessabile, linea di demarcazione tra potere e volere. Fresh parla di questo: di uomini che amano la carne umana. Uomini dei quali vediamo bocche voraci, occhi lussuriosi, dettagli di outfit, interni esclusivi. E che vogliono mangiare carne femminile. Perché è più gustosa.

Sebastian Stan in the film FRESH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Sebastian Stan in the film FRESH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Sebastian Stan in the film FRESH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Sebastian Stan in the film FRESH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

Eppure non c’è solo questo. Fresh inizia con un appuntamento combinato su un’app simile a Tinder. Che è a suo modo un trattato teorico. Con Noa (Daisy Edgar-Jones, indimenticata protagonista di Normal People) che, di fronte alle frasi discutibile di un maschio esteticamente ineccepibile, si ritrova giudicata perché “mal vestita” e per di più usata alla stregua di un bancomat (alla tavola calda non accettano carte, quindi Noa è costretta a pagare per entrambi in contanti).

Malgrado il flop, Noa continua a frequentare l’app, benché riceva più foto hot che proposte carine. Nonostante sia d’accordo con l’amica emancipata che tutto sommato non è un uomo a qualificarle in quanto donne, a dare un senso alle loro vite.

Ecco, se fossimo stati in Titane o Una donna promettente (altri film che usavano espedienti legati al dating), gli uomini sarebbero stati uccisi o umiliati, feriti o ridotti a macchine sessuali da disinnescare. Ma qui, l’abbiamo detto, non è come sembra. Noa, semplicemente, ha incontrato uomini non appropriati. Fresh non si accomoda su semplificazioni ultra-femministe e forse proprio per questo riesce a essere, a differenza dei due film citati, meno goffo e più svelto, meno schematico e più accattivante.

Accattivante come lo è Steve, che Noa incontra per caso al reparto fresco (fresh, già) del supermercato. L’uomo perfetto, o quasi. Fino al raggiungimento della mezz’ora, quando compaiono i titoli di testa a decretare lo scatto dagli stilemi – quasi spinti alla parodia – della commedia romantica alle marche dell’horror.

Ed ecco il ribaltamento di una situazione che fino all’ultimo crediamo possa essere minacciosa ma non pericolosa (come l’uomo che Noa sospetta la stia seguendo nel vicolo, rivelatosi invece un papà col figlioletto in braccio). Ecco lo svelamento della perversione sotto l’apparenza dell’american way of life, l’allegoria della carne umana che porta all’estremo temi quali lo sfruttamento delle risorse, la rincorsa all’esclusività nell’epoca in cui tutti hanno accesso a tutto, la configurazione del rapporto tra vittima e carnefice nell’ottica di una radicata adesione agli schemi schiavisti.

Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved
Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

Se è vero che la tensione si incanala nei territori di Jordan Peele (no, La carne di Marco Ferreri non è tra i riferimenti), non bisogna dimenticare che dietro Fresh c’è Adam McKay in qualità di produttore. E si sente la mano di uno degli autori più acuti nel leggere il dramma attraverso il prisma umoristico, che qui trova la quadra in certi momenti liberatori sopra le righe (i balletti dei protagonisti, il finale frenetico).

Con tutte le scaltrezze che volete e con tutti i passaggi che con un minimo di occhio sgamato si possono prevedere un minuto prima che si verifichino davvero, Fresh riesce a intercettare le paure meno esposte dei nostri giorni (chi stiamo incontrando quando combiniamo un appuntamento al buio? Che cosa chiediamo all’amore? Cosa chiede l’amore a noi?) con altre più ancestrali (la morte violenta, l’inadeguatezza di fronte agli impulsi altrui, il cannibalismo).

Lo fa perché sa sfruttare la libertà creativa dell’orizzonte indie, quasi costeggiando temi e pratiche dei b-movie, vestendolo con l’eleganza un po’ asettica ma elegante delle major, dandogli qua e là il ritmo di una storia da pubblicare sui social. Al netto di furberie e buchi, è un intrattenimento inquietante che fa abbastanza impressione trovare nel palinsesto della Disney (anche se, a ben vedere, inizia proprio con una love story disneyana).