Fantasy in costume con venature ucroniche. Tra i film italiani più attesi degli ultimi anni, previsto inizialmente nelle sale ad ottobre 2020 poi slittato causa Covid e figlio di una postproduzione lunghissima e tribolata, Freaks Out di Gabriele Mainetti arriva in concorso alla 78. Mostra di Venezia e uscirà al cinema il prossimo 28 ottobre.

Da un soggetto originale di Nicola Guaglianone (anche autore dello script insieme al regista), il secondo lungometraggio concepito dalla premiata ditta di Lo chiamavano Jeeg Robot rappresenta senza mezzi termini un unicum nel panorama produttivo del cinema nostrano (Goon Films, Lucky Red e Rai Cinema con budget superiore ai 12 milioni di euro).

Ambientato nella Roma occupata del 1943, il film segue la vicenda di un manipolo di circensi, guidati dall’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi): la ragazza elettrica Matilde (Aurora Giovinazzo), il ragazzo “domatore” di insetti Cencio (Pietro Castellitto), l’uomo lupo Fulvio (Claudio Santamaria) e l’uomo calamita Mario (Giancarlo Martini).

Freaks Out di Gabriele Mainetti

Alla scomparsa del primo, i quattro “fenomeni da baraccone” dovranno scegliere se mettersi sulle sue tracce o cercare una nuova occupazione, magari presso il “fantasmagorico” Zirkus Berlin (ricostruito idealmente a Forte Bravetta per ricordare i 68 martiri caduti sotto il fuoco tedesco), diretto da Herr Franz (Franz Rogowski), nazista spietato e visionario in cerca di uomini e donne con poteri straordinari.

Racconto d’avventura, romanzo di formazione e riflessione sulla diversità sullo sfondo della pagina più cupa del Novecento: la sfida di Guaglianone e Mainetti – per certi versi vinta, seppur con qualche riserva per quanto riguarda la tenuta drammaturgica di alcuni passaggi, oltre alla reiterata esibizione di una grandeur a tratti non necessaria – è quella di attingere a piene mani dal dark fantastico di Tim Burton e mescolarlo con la grande tradizione della commedia picaresca, di ispirarsi visivamente alle recenti deflagrazioni Marvel su larga scala (e al perduto senso di stupore del Mago di Oz di Victor Fleming) e alle derive fantastoriche tarantiniane di Bastardi senza gloria, ma senza dimenticare l’animo di personaggi tipicamente “local” incarnati dai vari Castellitto (ancora una volta scheggia impazzita di comicità illogica e improvvisa, è il nostro Marty Feldman), Santamaria e, soprattutto, da Max Mazzotta (il Gobbo a capo di un nutrito gruppo di partigiani popolato da guerci, mutilati, gente che la tragedia della Storia ha trasformato in freaks), attore quest’ultimo sempre troppo poco chiamato in causa dal nostro cinema, qui travolgente e battagliero, a metà strada tra il Vincenzo Marazzi di Tomas Milian e l’irraggiungibile, compianto Flavio Bucci.

Freaks Out

Meno sorprendente del precedente Jeeg Robot (curioso però che anche qui una sorta di iniziazione avvenga sulle sponde del Tevere…), proprio perché la mastodontica ambizione che lo genera lo obbliga al tempo stesso ad una perfezione difficilmente raggiungibile, Freaks Out – Tod Browning c’entra poco – si regge su trovate indiscutibilmente riuscite (le visioni di Franz, in primis, che lo portano anche a “comporre” musiche che la Storia, la nostra, avrebbe conosciuto solamente decenni più tardi, vedi la versione solo piano di Creep) e sulla magniloquenza esplosiva di sequenze che gli effetti speciali riescono a restituire con pienezza.

Nell’insieme, però, resta l’impressione di un già visto che la natura fortemente derivativa del film fatica a limitare. E i titoli di coda che immortalano a disegni i momenti e i personaggi segnanti della nostra storia (dal Vietnam al Muro di Berlino, da Mandela a Rita Levi Montalcini, Pelé e Maradona, il Papa a San Pietro durante la pandemia, il faccione di Jeeg Robot – sic! –) non aiutano granché a smussare tale sensazione.