Se due indizi fanno una prova, allora è il caso di iniziare a parlare con i dovuti distinguo del lavoro del regista lettone Gints Zilbalodis . Salito alla ribalta nel 2019 - un 'caso' al Festival di Annecy il suo film d’esordio Away , un'animazione digitale che aveva integralmente diretto, scritto, montato e musicato all'età di soli 25 anni - lo ritroviamo cinque anni dopo in Un Certain Regard con la vera gemma nascosta dell’intera selezione cannense.
Flow è, rispetto al precedente, un ulteriore passo in avanti: un film d’animazione parimenti autarchico (scritto in coppia però con Matiss Kaz) ma con un lavoro di regia straordinariamente maturo, dove l'eccellente fattura tecnica è tutt’una con una riconoscibile impronta stilistica.

Quello che colpisce non è tanto l’utilizzo della CGI in modo totalmente personale – allontanandosi così dai modelli artigianali dell’animazione d’autore, come quella disegnata a mano dello Studio Ghibli, omaggiato qui a Cannes con la Palma d’Oro d’Onore – ma la capacità di trasformare l’economia dei mezzi produttivi in fattore poetico e fertilità creativa. La totale assenza di dialoghi, di appigli cronologici, di riferimenti letterari o cinematografici, e la compresente approssimazione mimetica, di figure abbozzate ma non sgraziate, conferiscono fascino e tratto identitario a quest’opera misteriosa.

Flow ©Dreamwell Sacrebleu
Flow ©Dreamwell Sacrebleu

Flow ©Dreamwell Sacrebleu

Certo, l’inondazione a cui fa riferimento il titolo sembrerebbe il diluvio universale e la barca su cui viaggia per inerzia questa bizzarra compagnia di giro potrebbe essere l’arca di Noè. Ma le similitudini si spezzano nella totale assegna del fattore uomo o di un discorso smaccatamente escatologico. Anche il survival è più di cornice che di concetto, mentre la prefigurazione apocalittica tenuta tutto sommato come un a margine. Gli animali di Zilbalodis non sono antropomorfizzati come i personaggi della Disney. Restano animali, con i 'caratteri' propri della loro specie. In Flow abbiamo un gatto – su cui converge evidentemente l’occhio del regista e inevitabilmente il nostro – un cane, un capibara, un lemure e una gru. Si ritrovano con le loro solitudini e il loro sguardo inane, sopravvissuti e diseredati in uno scenario da civiltà perduta.

Dove sono diretti? Non lo sappiamo noi e nemmeno loro. Il cammino sarà irto di prove e paure ma anche di stupore, enigmi, barlumi di coscienza primitiva. Zilbalodis utilizza l'animazione digitale alla sua massima potenzialità, lavorando sulla bellezza non estetizzante delle composizioni e sul dinamismo interno, attraverso la realizzazione di complessi ed eleganti piani sequenza che conferiscono al visivo un’insolita motilità. Un movimento che è anche traiettoria narrativa e itinerario di scoperta, in cui fiaba, tensione, commedia e avventura si combinano in modi sempre sorprendenti ed efficacissimi, senza perdere di vista il mistero attanagliato nello sguardo senza pregiudizio del gatto, a cui pian piano aderisce il nostro, come quella del bambino.

Tra implicazioni filosofiche, smarrimenti benigni, omaggi a Béla Tarr (con una citazione esplicita nel finale de Le armonie di Werckmeister…) e un senso compiuto di appagamento - ludico, intellettuale, ed estetico - Flow fluttua nel tempo interiore dello spettatore come l’acqua increspata di un bene perduto.
Una piccola onda con l’eco di tesori nascosti, tra gli scarti e le rovine di un silenzioso futuro.