Che cos’è il Multiverso? Una dimensione parallela, la frammentazione del presente in più realtà. È ormai una colonna portante della fantascienza, ma non disdegna anche la favola. Pensiamo a Peter Pan, a quella “seconda stella a destra” che portava all’Isola che non c’è. Oggi il multi che diventa anche meta è stato sdoganato da Matrix, per arrivare fino alla Marvel che ci ha costruito un impero. Non a caso tra i produttori di Everything Everywhere All At Once spiccano i fratelli Russo, i registi di quattro capitoli (tra cui i due più importanti Avengers: Infinity War ed Avengers: Endgame) delle avventure targate Marvel. Ma qui non siamo dalle parti della Disney, a tenere le redini del progetto è la meritoria A24.

L’obiettivo è creare il film più estremo, colorato e coraggioso che sia mai stato realizzato sul multiverso. Dal blockbuster si passa all’indie, il trionfo è nel pop e nell’incontro di più generi. La strizzata d’occhio a Matrix è d’obbligo, ma non mancano pure Wong Kar-wai (In the Mood for Love) e I guardiani della galassia che si fondono con Ratatouille. Impresa folle? Forse. Ma è proprio questo che affascina del cinema di Dan Kwan e Daniel Scheinert: la continua ricerca di una nuova invenzione visiva per sparigliare le carte e muoversi tra l’azione e la risata. Si uniscono Oriente e Occidente (in principio doveva esserci Jackie Chan), il wuxia sfocia nell’action più esasperato.

La chiave è già nel titolo, nel trittico che accompagna l’intera durata del film. “Tutto”: il feroce tentativo di avere ogni cosa sotto controllo, superando anche il nostro universo. “Ovunque”: appartenere all’infinito e non accettare mai il singolo. “In una volta sola”: poter soppiantare la propria dimensione, piegare la scienza per spingersi verso l’eternità. Everything Everywhere All At Once è quindi una dichiarazione d’intenti, che mette in guardia fin dall’inizio. Sfida lo sguardo, si interroga sulle false verità che ci circondano. Ci si può fidare della vista? Non in questo caso. Perché nello stesso momento un’altra proiezione di noi stessi magari sta facendo il contrario di quello che pensiamo.

 

Kwan e Scheinert puntano su una nuova creatività, sulla sovrapposizione di ogni attimo, sul brivido dell’incredibile. Everything Everywhere All At Once è una scommessa, a suo modo un esperimento. Rispetta le leggi cardine della Hollywood di oggi. Al centro mette un’eroina che viene dal nulla e, si sa, poi da grandi poteri derivano grandi responsabilità. La sua parabola di crescita è abbastanza canonica, e anche il nemico è al femminile. Ma poi le linee narrative si intersecano, e il racconto assume toni romantici.

Tra i suoi eccessi, Everything Everywhere All At Once nasconde una tenerezza non comune, una love story al capolinea che ha bisogno di nuova linfa. In modo mirabolante, rielabora i rapporti famigliari, dà vita all’apocalisse per soffermarsi sulle dinamiche che si svolgono tra le mura di casa. Di sicuro è una sorpresa, brillante nel suo incedere, che non ha paura di osare scatenando il finimondo. La rivedremo agli Oscar? Oltreoceano ha scaldato gli animi ed è stata accolta tra scroscianti applausi. Potrebbe essere l’underdog (o forse non troppo) di una stagione ancora tutta da definire. Aspettando l’arrivo del favorito dopo la vittoria a Toronto: The Fabelmans di Steven Spielberg.