Eva di Benoît Jacquot non riesce a convincere, nonostante una perfetta Isabelle Huppert. A questo thriller erotico manca la perfetta eleganza dell’altra Eva diretta da Joseph Losey, il grande classico noir con Jeanne Moreau che fece scandalo a Venezia nel 1962. Benoît Jacquot torna a dirigere la storia di una Femme Fatale affiancandola a uno scrittore impostore che deve il suo successo a un manoscritto rubato.

Huppert - Eva è una prostituta d’alta società che indossa abiti haute couture, una parrucca scura, rossetto rosso fuoco e tacchi a spillo. Fredda, calcolatrice, intrigante – insomma la Huppert nel suo ruolo ideale, visto in tante declinazioni. Il problema qui è che Jacquot abbandona la sua musa a sé stessa. E la fa essere sé stessa. Isabelle insomma resta Isabelle senza diventare Eva. Eva si svolge tra Parigi, il Lac d’Annecy e uno chalet innevato sulle alpi francesi.

 

L’antagonista della donna è Bertrand (Gaspard Ulliel), un volto tra Delon e Belmondo, ma senza espressività incisiva. Anche lui è un ex prostituto ed è proprio a un anziano cliente che ha rubato il manoscritto. Eva finisce per un motivo fortuito nello Chalet della fidanzata di Bertrand la notte in cui lui ci è andato solo per concedersi qualche giorno di scrittura. Cominciano a frequentarsi. Lui paga. Ma si innamora, forse. Lei pensa solo al denaro.

Bertrand, invece, pensa di essere superiore. Come amante è convinto di conquistarla con le sue stesse armi. Decide di scrivere la prossima pièce ispirandosi alla liason. In realtà non ha talento. E la scrittura è piatta.  Una mascherata, un gioco al nascondiglio dei desideri, e bugie innestate nella realtà come i dettagli nascosti nelle tavole illustrate dei fratelli Grimm.

Jacquot gioca con il camouflage; i confini tra vissuto e inventato sono, almeno all’inizio, non chiari. Ma ci si perde nella convenzionalità di sequenze piatte, senza la virtuosità tecnica che un doppio piano di racconto come questo richiederebbe.