Verso il finale – che naturalmente non riveliamo – il protagonista del film, un biologo dell’evoluzione già professore universitario, si ritrova di fronte alla copertina dell’edizione francese del suo libro. Il titolo scelto suona più o meno come Il signore dell’incubo: lui se ne duole, perché tradisce l’originale Dream Scenario; ma poi abbozza, se lo fa andare bene e via con il firmacopie. Forse non è il passaggio più importante dell’opera terza del norvegese Kristoffer Borgli, ma è l’ennesimo inside joke di un film che gioca sui livelli narrativi, sulle risonanze oniriche nel reale, sulle allusioni metalinguistiche. Ma denuncia anche la sovrastruttura intellettuale di un film consapevolmente allegorico, che usa la confezione del trip bizzarro per contenere un evidente portato allegorico (tra i produttori, guarda caso, c’è Ari Aster).

Parte dalle strategie di camouflage delle zebre e dalle nuove frontiere della non-intelligenza artificiale, Dream Scenario, che dal mondo accademico, con le sue invidie e le sue ipocrisie, si proietta in quello mediatico, cercando una triangolazione tra le teorie dell’inconscio collettivo, l’incapacità di convivere con le paure e la mercificazione dell’utopia.

Cardine del racconto è un professore anonimo, vagamente mediocre e frustrato perché superato dai colleghi, padre di famiglia però sostanzialmente innocuo: la sua imperturbabilità che sconfina nell’impenetrabilità si configura subito nell’incipit, con la restituzione del sogno di una delle sue figlie, in cui non muove un dito di fronte a un anomalo atterraggio di materiali che rischia di ammazzare proprio la figlia. Curiosamente la sua versione inetta comincia ad abitare i sogni di molte persone, finché, all’improvviso, il suo avatar onirico inizia a diventare violento. Da stravagante qual era la percezione che il mondo ha di lui si fa sempre più spaventata: gli studenti scappano dalle sue lezioni perché si sentono a disagio, l’università gli ordina un periodo di riposo, le persone comuni che l’hanno sognato vedono in lui una minaccia concreta.

Dream Scenario
Dream Scenario

Dream Scenario

È chiaro: Dream Scenario è un’allegoria della cancel culture, che al di là dell’originalità del meccanismo (anche divertente, almeno fino a un certo punto) rivela subito una programmatica inquietudine incrociando la paranoia e l’indignazione. È anche una sfida al pubblico: da una parte è portato a identificarsi con una vittima che la collettività percepisce come carnefice immaginario, dall’altra è ineluttabilmente parte di quella collettività – veicolata dai social media ma non solo – che giudica e condanna tramite le gogne e le shitstorm.

Dopo Sicky of Myself, il norvegese Borgli si conferma connivente con lo sguardo dello svedese Ruben Östlund: la macchina narrativa e l’umorismo nero sono al servizio del pamphlet politico (la parte finale è apodittica fino a costeggiare la distopia) e, a differenza del precedente lavoro, c’è una tendenza alla reiterazione mitigata dai continui scarti offerti dalla recitazione di Nicolas Cage. Nel pieno della sua bulimia (una decina di crediti negli ultimi due anni: c’entrano i guai finanziari), l’attore più scialacquato e contraddittorio della sua generazione capitalizza la dimensione controversa per offrirsi ridicolo (dal lamento quando scopre la pubblicazione della collega-rivale all’eiaculazione precoce) e patetico, restituendosi credibile tanto nella realtà inoffensiva quanto nel sogno truculento. In un mondo normale avrebbe la strada spianata per il secondo Oscar (ma la rampante A24, che produce, potrebbe accarezzare la pazza idea).

Presentato alla Festa del Cinema di Roma, in sala prossimamente con un sottotitolo commerciale e semplicista: Hai mai sognato quest’uomo?, che sembra quasi replicare la scena del titolo tradotto male.