Margarethe von Trotta ha un particolare intuito nel raccontare storie di donne. E dopo le coraggiose spose di Rosenstrasse alle prese con il nazismo, affronta un secondo, doloroso capitolo della recente storia tedesca. L'inizio di Die andere Frau (L'altra donna) è abbastanza misterioso, inquietante: Ivonne (Barbara Auer), bella e ricca signora felicemente sposata con Peter, riceve inaspettatamente una lettera da parte di Vera (Barbara Sukova), in carcere da oltre cinque anni. Incuriosita per il contenuto, che riguarda molto da vicino lei stessa e il marito, le fa visita, senza immaginare quali verità, molto nascoste, sarà costretta ad affrontare. Sono verità per lo più sconosciute anche a noi. Infatti, con quell'amore per la storia e la società che hanno da sempre contraddistinto il cinema della regista tedesca, si viene a conoscenza di un programma messo in atto dalla famigerata Stasi (la polizia segreta della Repubblica Democratica Tedesca) ai tempi della divisione e del muro: uomini di bell'aspetto e di provata fede nel partito venivano spediti all'Ovest per concupire signore capaci, grazie al loro impiego in posti chiave della politica e dell'economia, di trafugare documenti riservati e consegnarli ai finti spasimanti. Un'operazione su vasta scala che ha prodotto lacerazioni e tragedie, personali e familiari, ancora oggi non rimarginate. Come racconta il film: Vera fu una di quelle donne, Peter la spia e Ivonne la vera moglie sulla quale ricade un cumulo di bugie, fino alla spietata vendetta finale operata per onorare la giustizia ed in forza di una neonata solidarietà femminile. Sceneggiato con emozione e pudore da Pamela Kats, Die andere Frau, dalla dimensione cameristica ("Uno psico-dramma" ha affermato la regista) conserva i suoi momenti migliori nei dialoghi tra le due donne, nei loro volti che si contrappongono, nel loro scontro, nelle fragilità create dai meccanismi della storia, che per la Germania sono stati particolarmente infelici, se non spaventosi. Con ricadute che riguardano ancora il presente: perché se le donne della Germania Ovest prese nella trappola sono state accusate di spionaggio e condannate al carcere, gli uomini della Germania Est rimangono ancora (almeno quei pochi dei quali si è scoperta l'identità) a piede libero. Margarethe, con il cinema, fa giustizia di questa palese, insopportabile ingiustizia.