È il 2001 e l’Argentina si trova nel mezzo di una traumatica crisi economica e finanziaria. Il Paese perde rapidamente la fiducia degli investitori, la fuga di capitali diventa incontrollabile. Si scatena la corsa agli sportelli, con gli argentini che ritirano quanto più possibile dai conti correnti bancari per mandare il denaro all’estero. Il governo congela i conti per dodici mesi, permettendo solo prelievi limitati a piccole somme.

È la goccia che fa traboccare il vaso. La popolazione scende in piazza, divampano le proteste. In seguito agli scontri con polizia muoiono alcuni dimostranti, il presidente de la Rúa scappa dalla Casa Rosada.

Senza questo contesto non si può capire Criminali come noi, che, nella forma classica della “commedia del colpo grosso”, racconta il tentativo da parte del popolo di ribellarsi al potere dell’establishment.

Gli elementi di fondo sono quelli che abbiamo visto sin dai tempi de I soliti ignoti. Alcuni common men, ma unite dalla comune inaccessibilità ai benefici del benessere, si mettono insieme per organizzare una rapina che possa cambiare le loro vite. In questo caso, il colpo grosso non è gratuito o meramente criminale.

I protagonisti, infatti, dopo aver raccolto tutti i risparmi per riattivare una cooperativa agricola, con l’obiettivo di rilanciare l’economia cittadina, scoprono di aver perso tutto. Il collasso del Paese, pensano, i crudeli contraccolpi della crisi. E, invece, si tratta di una truffa, organizzata dal direttore di banca con un avvocato. Sfidando una natura che certo non li porta a commettere azioni improvvide, i risparmiatori, coscienti di essere stati raggirati, decidono di reimpossessarsi di ciò che spetta loro di diritto. “Non siamo ladri, vogliamo solo recuperare quello che è nostro”.

Basato sul romanzo La noche de la Usina di Eduardo Sacheri, Criminali come noi è stato da più parti accostato a Ocean’s Eleven. In realtà, con il film assai glamour di Steven Soderbergh condivide poco. Diciamo, la superficie del genere e soprattutto la presenza di un cast all-stars, essendo gli attori in partita tra i più acclamati e popolari del cinema nazionale (Ricardo Darín, Luis Brandoni, Chino Darín, Verónica Llinás).

Produzione locale più vista in patria nel 2019, proprio in virtù del suo valore produttivo, Criminali come noi è stato presentato come candidato argentino all’Oscar per il miglior film internazionale.

Se nel titolo originale, La odisea de los giles, c’è un riferimento a un termine argentino che sta per “credulone” o “ingenuo”, quello inglese, Heroic Losers, mette in campo lo statuto dei perdenti alla ricerca di riscatto. In Italia si è preferito sottolineare la vicinanza tra noi e loro, improvvisamente reinventatisi criminali per reagire alle storture del sistema. Può sembrare un discorso ozioso, ma la dice lunga su un film che propone diverse chiavi di lettura a seconda del pubblico al quale si rivolge.

Se nel mondo si ricerca l’adesione a un modello di commedia d’azione in cui i poveri devono fare i conti con la propria onestà per ottenere giustizia, agli spettatori argentini si chiede di rinegoziare il trauma attraverso un ottimismo certo ingenuo ma necessario. In questo senso noi italiani potremmo rintracciare qualcosa di associabile alla commedia del nostro dopoguerra, per la capacità di infondere fiducia nello spettatore pur trattando un tema drammatico.

Ed è indicativa l’esplicita citazione di Come rubare un milione di dollari e vivere felici, con Peter O’Toole e Audrey Hepburn impegnati a disattivare l’allarme. Non vuole solo dichiarare il legame con l’heist movie, ma anche sottolineare quanto il cinema possa essere usato come manuale d’istruzioni per apprendere nuove competenze.

Sospeso tra la ricerca della facile empatia e una timida rincorsa alla tensione (musiche di Federico Jusid), al quarto lungometraggio Sebastián Borensztein dimostra di aver studiato le basi della commedia all’italiana (coralità, umorismo, satira vengono da lì), eludendone tuttavia la carica sovversiva. Costruendo consapevolmente un film ammiccante quanto edificante, desidera porsi quale specchio delle emozioni del pubblico più che nei termini di una solida critica al neoliberismo. Ma ciò che in quasi dure ore latita davvero è il ritmo: il tempo che impiega per carburare è decisamente troppo.