Il cinema e il mondo dell’editoria. Due settori in crisi, dove i budget si sono abbassati e gli incassi non lasciano ben sperare. Tutti possono scrivere o girare un film: bastano un computer o un telefono. La vera domanda è: che cosa pubblicare/distribuire? La risposta non spetta agli “autori”, in entrambi i casi. Così sullo schermo si inizia a ragionare sul futuro dei libri.

Con occhio attento e grande freschezza, Olivier Assayas ha incantato la Mostra del Cinema di Venezia con Double vies (in italiano riadattato col terribile Il gioco delle coppie). Il suo era uno sguardo schietto, focalizzato su comportamenti giusti o sbagliati, su un universo che, dati alla mano, rischia di implodere. Da questa “moralità” parte Copia originale.

 

Lee Israel è una scrittrice che non sa più come pagare le bollette. La sua agente dice: “Il tuo lavoro non è interessante per i lettori”. E non le dà un anticipo sul prossimo romanzo. Tom Clancy prende più di tre milioni per le sue storie, mentre lei neanche un dollaro. Idea: contraffare le antiche lettere di grandi star del passato (da Noël Coward a Dorothy Parker), e rivenderle ai collezionisti. Così il genio della truffa riesce ad arrivare a fine mese, anche con l’FBI alle calcagna.

La vera vittima in Copia originale non è chi compra, ma la verità. “Non importa che siano autentiche, la gente va matta per queste cose”, spiega un rivenditore senza scrupoli. Un altro scopre di avere tra le mani un falso assoluto, e decide di lasciarlo in vetrina, al prezzo di duemila verdoni. Una rapina. E si torna al “messaggio” di Assayas, all’etica che ormai ha fatto il suo tempo. Quindi qual è la copia originale? Quella custodita in un museo? Quella scrupolosamente conservata nella teca di un ricco fan? Non importa. La verità ormai è qualcosa su misura, che ognuno si costruisce secondo i propri gusti.

 

Donne e inchiostro, un mantra di questa edizione del Torino Film Festival, da Colette a Copia originale. Grandi interpretazioni, con attrici energiche, pronte a non piegarsi davanti all’impossibile. Qui a rubare la scena è Melissa McCarthy, reginetta della commedia oltre il limite, che gioca con il politicamente scorretto. Più che recitarlo, sembra incarnare il suo scombinato personaggio, che vive in una casa indecente, innamorata dei gatti e del collo della bottiglia, parla in modo scurrile, e viene considerata “impresentabile”.

Ma è proprio questa la sua forza. Non deve dimostrare niente, non ha un’immagine da difendere, vive gli eccessi con spirito leggero. Accetta l’amicizia del suo “compare”, ma forse è un gioco delle parti. Recitano a loro stessi, per illudersi di ricevere un po’ di calore umano. Mentre la New York dei primi anni Novanta appare fredda e buia. E gli abitanti della Grande Mela si comportano come tante piccole isole, faticano a incontrarsi, fanno disperati tentativi di rimanere a galla. Tutto questo in un piccolo film dal cuore grande.