Come è facile sentirsi soli a Milano. Soprattutto se si è donna. Italiana o ucraina, ugualmente straniera. La prima, Claudia (l'ottima Anita Kravos), è autoreclusa in una sospensione relazionale, nella routine atona del quotidiano, lavora in agenzia, fa partire gli altri, lei rimane: è milanese, ma apolide. Olga (Karolina Dafne Porcari), legata a Boris (Paolo Pierobon), il maestro di lingua russa di Claudia, arriva in Italia straniera, ma per attitudine è socievole, compassionevole, aperta. Alla novità, quella dell'umano: è lei a incarnare la possibilità, residua, di cambiare da sé la propria vita. Per Claudia sarà un exemplum, fino alle estreme conseguenze. Opera seconda - dopo lo struggente e sfortunato Forza cani - della milanese Marina Spada, Come l'ombra - prodotto da Francesco Pamphili per Kairós - è film atipico nel panorama italiano, per molteplici ragioni: nasce - programmaticamente - fuori dall'Impero Romano: lo sceneggiatore e produttore esecutivo Daniele Maggioni è direttore della Scuola di Cinema di Milano, dove la Spada insegna; arriva nelle nostre sale sull'onda lunga - dalle Giornate degli Autori veneziane, passando per Mar del Plata e Toronto - del successo festivaliero internazionale; non ha avuto finanziamenti ministeriali; è low-budget senza avere l'estetica usurata e il pietismo poetico del low-budget. Milano è luogo comune, ovvero non-luogo: della milanesità mancano le immagini-dinamite, le icone meneghine, piuttosto, complice la collaborazione con il fotografo - paesaggista urbano - Gabriele Basilico, il capoluogo assurge a paradigma metropolitano, agglomerato glocal di solidi urbani. The place to be, per dirla in inglese, o Il posto: quello di Ermanno Olmi (1961), che - soprattutto nella sequenza in stazione - pare fertile termine di paragone.