“Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”.
Dopo l’Oscar per Ida, Pawel Pawlikowski firma un altro grande film in bianco e nero, ancora una volta adottando l’aspect ratio 1:1.37.
E torna alla Polonia dell’immediato dopoguerra, nel 1949, quando dal nulla di villaggi rurali seminascosti dal bianco inghiottente della neve e del cielo, iniziò il reclutamento di quello che da lì a poco divenne il “Mazowsze”, corpo di balli e canti popolari nato per volontà del governo filosovietico, che venne poi esportato in tutto il blocco orientale nell’arco degli anni ’50.
È in questo contesto che prende forma l’incredibile storia d’amore tra Wiktor (Tomasz Kot), musicista e direttore della compagnia, e l’allieva Zula (Joanna Kulig), ragazza su cui grava il sospetto di aver ucciso il proprio padre.
Arrivati a Berlino Est per un’esibizione, Wiktor organizza la fuga dall’altra parte del blocco per vivere finalmente in libertà quella storia d’amore. Ma Zula, contro ogni previsione, non si presenta all’appuntamento concordato.
È l’inizio di uno straordinario melodramma al di qua e al di là della cortina di ferro. Che il regista polacco costruisce per frammenti, balzando in avanti negli anni (fino ad arrivare a metà anni ’60), tra una dissolvenza in nero e un’altra, facendo perdere e incontrare i due protagonisti più volte.
Dal suggestivo e trascinante folk tradizionale si arriva alle contaminazioni jazz parigine di fine anni ’50, e lo sviluppo dei due personaggi (interpretati con una classe rara, e Joanna Kulig – già vista in Ida – farà parlare di sé) è inscritto nei cambiamenti emotivi che un mutamento così repentino e cruciale di quell’epoca portava con sé.
Forma e racconto si amalgamano per un’operazione che vagamente potrebbe ricordare il Frantz di Ozon, anche se qui l’asticella si alza in favore di una portata romantica maggiore: basti pensare alla dedica finale di Pawlikowski, “ai miei genitori”, che con i due protagonisti condividono il nome di battesimo (Wiktor e Zula) e gran parte di una storia d’amore travagliata: “Erano entrambi due persone forti e meravigliose, ma come coppia un infinito disastro”, ha detto lo stesso regista.
Che in Cold War – premiato per la regia a Cannes 2018 e trionfatore agli EFA, gli Oscar europei, con 5 statuette per miglior film, regia, montaggio, sceneggiatura e attrice – li riporta in vita (sono entrambi morti nel 1989, poco prima che venisse abbattuto il Muro di Berlino) per farli tornare a suonare, cantare e danzare quell’amore così travolgente e impossibile, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémien dove ogni cosa sembrava possibile, ma la purezza del primo incontro sembrava perduta.
E allora meglio rimettere in discussione ogni cosa, ogni occasione di soddisfazione artistica e personale, e riassaporare la nostalgia di quella chiesetta diroccata nel fango. Per poi osservare l’orizzonte da una panchina. E spostarsi di nuovo: “Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”.
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18 Commenti on "Cold War"
Regista eccelso Pavel Pawlikowski. Sono curioso di vedere questo film dopo avere apprezzato Ida. In un modo o nell’altro ci riuscirò.
uscirà in Italia, distribuito da Lucky Red
E’ evidente l’influenza di Kundera (L’insostenibile leggerezza dell’essere)
È la recensione che è più penosa del film!
Là recensione è peggiore del film.
fantastic film!
Alquanto improabile che durante la tournée Jugoslavia, mentre i capi serbi dell’ Ozna (Servizi Segreti), avevano deciso di consegnare il ViKtor ai russi, i bravi agenti croati lo spedisce a Zagabria dove può raggiungere l’Occidente. Poi si legge, nei titoli di coda, che la Croazia ha contributo al film e allora questo episodio si spiega. Per il resto il film è bello per la confezione, un p0′ svenevole la trama.
Magari fosse triste…. Piatto e noioso
Un film d’autore pieno di malinconia. Una storia d’amore di una tristezza e verità mai realizzata nel cinema. Qui la mia modesta opinione: https://locchiodelcineasta.com/cold-war-recensione/
Un film sublime non tanto per la storia d’amore drammatica, ma per il contesto storico e musicale, nonché un’eccellente fotografia.
Bellissima la fotografia e la musica. Struggente malinconica e un po’ sconclusionata la storia ma forse non serve una trama lineare e la sua bellezza sta proprio in questo. La tristezza finale è scontata ma ti avvolge in un abbraccio.
Un’esaltazione dell’amore distruttivo veramente irritante. E anche malamente narrata: sarebbe stato indispensabile dirci le ragioni di tanta distrittivita’ che invece viene data per scontata. Ottima la confezione, certo. Un bel guscio vuoto
Noioso da morire
Pawlikowski ritorna con lo stesso fotografo di Ida ma il miracolo non si ricompie. Non bastano scene di rinnovata bellezza (Ida rimane capolovoro irripetibile) a riempire la mancanza di drammaticità, passione e, in un’ultima analisi, di saper emozionare.
L’ultima bellissima scena ci ricorda soltanto la grandezza del maestro polacco.