È quel che si dice un feel-good movie, CODA, un “film che fa stare bene” e che in Italia si è scelto di tradurre come I segni del cuore, titolo evocativo quanto banale che tuttavia mette in campo i due motivi portanti della storia: il linguaggio e il calore.

CODA sta per Children of Deaf Adults e la protagonista, Ruby (la luminosa Emilia Jones) è proprio la figlia di adulti sordi, nonché unico membro udente della sua eccentrica famiglia. Oltre a poter sentire e parlare, Ruby sa anche cantare. E lo fa così bene che il suo maestro di origini messicane la vorrebbe preparare per un’audizione.

Una grande occasione, sì, ma Ruby a diciassette anni è già investita di troppe responsabilità: non solo prima della scuola aiuta il padre e il fratello maggiore sul peschereccio, l’attività che garantisce sostegno economico alla famiglia, ma rappresenta anche l’unico ponte dei suoi congiunti con il mondo dei suoni, dei rumori, delle voci altrui. Saranno pronti, mamma, papà e fratello, a lasciarla andare?

Adattamento americano del longseller francese La famiglia Bélier, di CODA – I segni del cuore si parla da almeno un anno, da quando, dopo l’anteprima al Sundance 2021, Apple ne acquistò i diritti alla cifra record di 25 milioni di dollari (ma in Italia arriva in home video e, da aprile, su Sky e NOW). Ci videro lungo: con tre nomination di peso (film, sceneggiatura adattata, attore non protagonista), CODA è anche uno dei pochissimi film di ambientazione contemporanea selezionati nell’ultima edizione degli Oscar.

In fin dei conti i motivi sono facili da capire, a partire dal fatto che si tratta di un caldo racconto di formazione e di emancipazione che osserva la protagonista nel percorso di ricerca, appropriazione, rivendicazione della propria “voce”. Dove per voce la s’intende tanto sul piano fonetico quanto su quello metaforico: il canto è un dono che allontana Ruby dai suoi cari sia perché loro non possono godere di quel talento sia perché ipoteca il distacco dal nido con tutto ciò che ne consegue.

Amy Forsyth, Daniel Durant, Marlee Matlin and Troy Kotsur in CODA
Amy Forsyth, Daniel Durant, Marlee Matlin and Troy Kotsur in CODA
Amy Forsyth, Daniel Durant, Marlee Matlin and Troy Kotsur in CODA
Amy Forsyth, Daniel Durant, Marlee Matlin and Troy Kotsur in CODA

Sian Heder ha avuto l’intelligenza di tradurre la storia soprattutto tenendo conto del Massachusetts, paesaggio che l’autrice conosce bene (è nata nella Contea di Middlesex). E attraverso il suo sguardo preciso ed empatico nel modulare umorismo e serietà, così in sintonia con i bisogni e i limiti del paese profondo, riesce a dare al remake una forma autonoma.

Complici anche personaggi che non riducono se stessi al proprio deficit (il film è parlato soprattutto in lingua dei segni e dunque sottotitolato), i Children of Deaf Adults non sono più i Children of a Lesser God, cioè i Figli di un dio minore del famoso film che valse a Marlee Matlin – qui briosa mamma di Ruby – il primo Oscar a un’interprete della comunità sorda.

È grazie soprattutto al suo apporto e a quello di Troy Kotsur (il padre, candidato all’Oscar) e Daniel Durante (il fratello) se il film riesce a offrire una rappresentazione non pietistica, conferendo ai protagonisti imprevista ironia, benemerita complessità, una divertita dimensione sessuale, pur senza mai attenuare la condizione di isolamento (d’impatto la scena in cui i genitori assistono all’esibizione di Ruby). Nessun dubbio sul fatto che sia tutto molto corretto e senza troppi slanci, ma come feel-good movie fa ciò che vede: rassicura, commuove, diverte, ti abbraccia.