Maggie Cheung sempre in scena. Sfatta come può essere solo una tossica, adrenalinica come una che ha appena trovato la dose, zen come una che vuole rimettersi in carreggiata: ripulirsi. Per farlo deve partire dal di dentro, dalle radici. Clean è un film suo, almeno quanto lo è di Olivier Assayas: il regista e l'attrice, non più insieme nella vita, ma magicamente all'unisono in questa storia che non perde un colpo. Bella, "edificante" nel senso migliore del termine, importante perché produce emozioni "pulite", fuori dagli stereotipi "sesso, droga e rock ‘n' roll".Una giovane donna decide di disintossicarsi per riavere il figlio, allevato dai suoceri in Canada. Il padre del bambino è morto di overdose, lei ha scontato il carcere per possesso di stupefacenti e i nonni non vogliono più saperne, vorrebbero cancellarla. Emily capisce ma scopre una determinazione insperata. Da sola, quando tutti le hanno voltato le spalle, a Parigi riga dritto, lavora in un ristorante cinese, mette da parte i soldi e aspetta un piccolo immenso miracolo. "Quando non hai più scelta - dice Assayas - è allora che cambi". Ma questa trama è messa in moto da un movimento delicato e potente di fatti quotidiani che celano, con pudore, emozioni straordinariamente forti. A volte insopportabili. Grande film sul cambiamento, Clean, che a Cannes 2004 ha consegnato a Maggie un premio per l'interpretazione. Per il regista è il ritorno a una narrazione più lineare, meno sperimentale rispetto a Demonlover o Irma Vep. Un film d'attori, di silenzi e di rivelazioni, che ha in Nick Nolte, il suocero, l'altro polo di attrazione magnetica. Meditazione sulla morte anche come possibilità di rinascita, di trasformazione nei vivi, in chi resta, in chi deve assistere, colpevole o innocente, ma sempre impotente e sempre perseguitato dal senso di colpa e di insensatezza, all'agonia dell'altro. Emily sopravvive al suo uomo da dura, il suocero accudisce una moglie malata terminale con una premura quasi femminile.