Si incontrano per caso. Lei, Anastasia Steele (Dakota Johnson), lo deve intervistare per conto terzi. Lui, il giovane miliardario Christian Grey (Jamie Dornan), scorge in quella timida studentessa la possibilità di una nuova relazione. Sessuale.

L'evento cinematografico di questo San Valentino è "finalmente" realtà: poco meno di 1000 sale ospitano, da oggi, il primo capitolo della trilogia bestseller firmata da E.L. James, tradotto per lo schermo da Kelly Marcel e diretto da Sam Taylor-Johnson, che nel 2009 con Nowhere Boy aveva raccontato l'infanzia e l'adolescenza di John Lennon.

Stavolta il campo d'elezione è un tantino differente e la direzione di un film-fenomeno come Cinquanta sfumature di grigio ne condiziona qualsiasi velleità in termini di sguardo e autorialità: campo e controcampo dominano - come da copione - una drammaturgia basata sul "botta e risposta", sul corteggiamento "atipico" che vede, da una parte, la ragazza "normale" (e vergine) avvicinarsi poco a poco all'universo "malato" di Grey, affascinante problematico misterioso che, testuali parole, non fa l'amore, "ma scopa. Forte". Dall'altra parte, ovvio, Anastasia sarà la prima a creare una piccola breccia in quella corazza (lui ha avuto un'infanzia difficile, una madre prostituta drogata...), breccia che, però, non porterà le cose lì dove vorrebbe lei. Per questo, e ulteriori lieti finali, bisognerà attendere gli altri due film.Volutamente (?) mortifero e per certi versi glaciale, Cinquanta sfumature di grigio riporta il cinema del 2015 a misurarsi con filoni tipicamente anni '80 e '90, rendendo se possibile ancor più schematica la partitura, facendo quasi rimpiangere prodotti come 9 settimane e 1/2 e Basic Instinct.

Il clamore intorno cui ruota il "fenomeno", immaginiamo, è da ricercare nelle derive "perverse" di rapporti regolati da corde, bende, frustini e sculacciate: "Wow!". Ma la cinta no! (e torna alla mente il Verdone implorante con il futuro suocero Mario Brega quando in Borotalco lo becca a casa di Manuel Fantoni in flagranza di tradimento...), perché va bene tutto, ma a tutto c'è un limite. Che il film si guarda bene dal sfiorare neanche lontanamente, concentrandosi più che altro sulla verbosità di una contrattazione (vera e propria, con tanto di articoli e commi) che certifica l'effettiva morte del desiderio. E il trapasso è anche quello dello spettatore, ucciso dalla noia. Twilight, al confronto, era Il Dottor Zivago.